Frost/Nixon di Ron Howard


E’ il 1974. Richard Nixon (Frank Langella), per impedire l’inchiesta di impeachment nei suoi confronti dopo lo scandalo Watergate, decide di dimettersi da Presidente Usa. Lascia il potere abusandolo: e nemmeno di fronte agli oltre 400 milioni di telespettatori ammette la sua colpevolezza. Nel frattempo, in Australia, David Frost (Michael Sheen), un conduttore di talk show arenatosi lì dopo una parentesi di successo a New York, capisce quale può essere la strada per ritornare nelle strade illuminate dello showbiz americano: intervistare l’ormai ex-Presidente e cavargli fuori di bocca quelle scuse che tutto il mondo si aspetta. Passa il tempo, e finalmente il team di Nixon accetta l’intervista: Frost è si un bravo intervistatore ma che di politica non capisce nulla, troppo impegnato a guardare corpi di ragazze. Nixon, dopo aver ricevuto un compenso esagerato, capisce che può rimettere in gioco la sua credibilità, maneggiando e manipolando facilmente l’improvvisato giornalista.
Dopo aver messo in piedi una squadra di giornalisti, Frost prepara l’intervista. All’inizio, tutto procede come aveva immaginato Nixon ma, proprio nell’ultima parte, incentrata sullo scandalo Watergate, l’ex presidente capitombola, ammettendo le sue colpe di abuso di potere.
Riadattamento della pièce teatrale di Peter Morgan, ispirata alla vera intervista anata in onda nel 1977, Frost/Nixon è un film che parla del quinto potere, la televisione e la politica. La giustizia fatta ad uso e consumo degli indici di ascolto. La televisione riduce, si dice nel film, e riesce in quello che i tribunali o le corti falliscono. Nixon, al contrario di Frost, non è uomo di spettacolo. È adatto alla politica vecchia maniera, spionaggio, tattiche alla vecchio pazzo. Il consenso non lo guadagna per immagini. Per questo crolla di fronte allo showbiz, e con lui non solo cade lo scandalo trito e ritrito, ma anche un certo modo di vedere il sistema politico.
Ecco allora il dispiegamento delle nuove prospettive: il populismo da cena con gli occhi incollati allo schermo. Mani su forchette e telecomando. Si potrebbe gridare allo scandalo se si volesse, se si ha voglia di urlare di fronte al tempo. Non serve a granché il rifiuto e rifugiarsi su Youtube: è lo spettacolo, baby. Con tutto ciò che ne consegue. Vince chi da più immagini raccattapalle a bordo campo. Quelle palle da vendere fuori dallo stadio a tifosi a cui non gliene fotte un cazzo di ciò che è accaduto, perché l’importante è avere il pallone gonfiato.
Lo si è detto, Nixon non è uomo moderno. Non sa destreggiarsi con primi piani e inquadrature. Suda, le mani nascoste sul fazzoletto, pronto a tirarlo fuori quando può. È agitato perché vuole piacere, a tutti i costi. Vorrebbe essere uno di quei personaggi cool, da esaltati, sempre in prima pagina, pronti a mostrare sorrisi. Senza però riuscirci. Per questo fa di tutto, abusa di tutto: il potere è ciò che lo rende unico, l’unica cosa che lo tiene vivo.
Intanto la televisione continua a mietere e decretare successi e insuccessi, a decidere i vincitori, i prossimi a regnare sulle cene monotone. Vince chi la sa usare e plasmare secondo i suoi desideri.
Magari, i più maliziosi avranno iniziare a pensare a qualcuno in particolare. Una delle nuove leve di questa generazione di politici raccattapalle buoni a lanciare solo cazzate e battute da Bar Sport.
Uno che quel dannato mezzo di comunicazione lo sa usare per farsi votare, non importa con che programma. Insomma, l’esatto opposto di una politica di facciata alla Nixon, ma uguale negli intenti di abuso.
Zapping costituzionale. È tempo di cambiare canale.
Milesmood

1 commento:

  1. Vi devo chiedere scusa perchè ho colpevolmente cancellato un vostro commento sul nostro blog che era finito tra lo spam.
    Vi chiedo scusa nuovamente.

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