Il dito è Maroni, la luna è la mattanza: contro la strage di migranti nel Mediterraneo ora agiamo!

Una motovedetta libica, dono dell'Italia e con militari italiani a bordo, spara contro un peschereccio italiano. Spara ad altezza d'uomo, con la possibilità - ed evidentemente la volontà - di uccidere. Il ministro dell'Interno italo-padano Roberto Maroni (il volto intelligente e moderato della Lega Nord, secondo alcuni) afferma: "Io immagino che abbiano scambiato il peschereccio per una nave di clandestini". Indignazione generale: non ci vuole molto per capire che per Maroni sparare contro un'imbarcazione che trasporta migranti sarebbe cosa buona e giusta (sai che novità...).

Forse, invece che sforzarsi di leggere tra le righe delle parole di un ministro che esprime un concetto fondante e ormai ovvio dell'ideologia leghista, sarebbe il caso di indignarsi di più e più a lungo per i fatti concreti, per quello che avviene in modo documentato e senza necessità di interpretazioni e di esegesi nelle acque del Mediterraneo. Forse, invece che fissare lo sguardo sul dito di Maroni, sarebbe opportuno rimanere concentrati sulla luna che quel dito indica, perché è una luna che gronda sangue, morte e dolore. E' una luna-mattanza.

Perché, solo per fare un esempio, ci si è così rapidamente dimenticati dei 205 profughi eritrei, in parte respinti dall'Italia, che sono stati imprigionati nei campi di concentramento del deserto libico, a soffrire caldo fame sete, a subire pestaggi torture stupri? Perché, una volta "liberati", pur sapendo che si trattava di una farsa, di un semplice rimandare la loro condanna, è calato il silenzio su di loro? Ieri abbiamo fatto il punto sulla loro sorte con Roberto Malini, co-presidente del Gruppo EveryOne e non c'è proprio nulla di cui rallegrarsi...

E quante altre storie di lager libici, di uomini torturati, di donne violentate, di bambini venduti ai mercanti di corpi, di esseri umani finiti a sfamare i mangiatori di carogne del deserto, di barche affondate sotto lo sguardo indifferente delle motovedette libico-italiane... - quante altre storie, pur documentate, abbiamo sottovalutato, taciuto, ignorato? Perché fingiamo stupore e indignazione per le parole sibilline di un ministro mentre ci lasciamo volentieri distrarre di fronte a una mattanza evidente?

Sta anche qui la nostra responsabilità, la responsabilità di ciascuno di noi.

Per questo è ora importante far sentire la nostra voce, la voce di ciascuno di noi. Abbiamo pubblicato una lettera e degli indirizzi. Ciascuno di noi potrà copia-incollare il testo e spedirlo agli indirizzi e-mail che indicheremo. Ciascuno di noi potrà stampare il testo, firmare, prendere una busta, comprare un francobollo e spedire una lettera agli indirizzi che vi forniremo: questa seconda cosa richiederà più impegno, più tempo, più disponibilità, ma è anche molto più efficace. E forse non ne vale la pena?

Little Prince(ss)

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1 commento:

  1. Non credo di essere capace di esprimere il mio disagio di esistere con quest'accozzaglia di esseri viventi che, purtroppo condividono con me l'idioma e il patrio suolo. Mi capitò di incespicare e cadere. A rialzarmi mi aiutò una mendicante, credo dell'Est Europa. La ringraziai e le sorrisi. Con modestia e senza richiesta alcuna vide che lasciai cadere delle monete nella sua ciotola e mi ringraziò Lei. Mi ringraziò Lei quando ero io che dovevo ringraziare Lei. Duecento metri dopo ricaddi e mi aiutò a rialzarmi un ragazzino italiano. sporco, malvestito e tutto sudato perché aveva giocato a calcio sino a pochi minuti prima. Mi aiutò a rialzarmi e non accettò l'offerta di un gelato al bar per ringraziamento. Rifiutò parlandomi in un italiano scomposto, tipico di chi ha poco studiato e vive in un ambiente culturalmente misero. Lo ringraziai senza potergli corrispondere una mancia ma scambiandoci un sorriso. Un gesto di reciprocità umana. Lentamente, camminando appoggiandomi al muro più vicino o alle auto immobili e parcheggiate, riuscii a giungere vicino casa. Incespicai e caddi ancora. Uomini e donne sfrecciavano tutt'intorno indaffarati nei loro quotidiani impegni, chi per la spesa, chi per l'ufficio chi per l'aperitivo, chi per la morosa o chissà perché. Tutti frettolosi e indaffarati. Nessuno si fermò per aiutarmi a riprendere la postura eretta. Sentii i commenti di qualcuno che a mezza voce, riferendosi a me diceva: "Che schifo, ubriaco o tossico." - "Meglio andar via. Può infettarmi."
    Dopo alcuni minuti riuscii a rialzarmi, non senza difficoltà. Sempre poggiandomi al muro più vicino arrivai all'incrocio e riuscii ad attraversarlo solo perché il traffico aveva bloccato le auto ed ebbi modo di poggiarmi ad alcune di esse per attraversare. Nessun autista rallentò o di fermò per me nella sua corsa. Arrivai a casa e ringraziai Dio. Piansi pensando a ciò che il mio male mia ha potato ad essere, uno storpio invalido; ma ben di più piansi e non ho ancora smesso pensando a quello che sono diventati gli uomini civili. Che Iddio o chi per esso ci perdoni perché noi stessi uomini non siamo più capaci di farlo. Io tanto meno.

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Il grande colibrì