Alla ricerca delle domande perdute. Marchionne nel sistema mondo

Cosa resta a distanza di una settimana dell’intervista di Marchionne? Poco o nulla: una frase decontestualizzata, la Fiat senza l’Italia potrebbe fare meglio, il solito strascico di polemiche volto a cercare chi ha più colpa di chi, e il fatto che un uomo con doppia cittadinanza italiana-canadese non ha il diritto di dire alcunché sulla situazione italiana. Di tutto il resto, dal ritardo industriale dell’Italia al confronto competitivo di una cosa marginale chiamata Mondo, resta solo un rumore di sottofondo. Al di là del giudizio sull’uomo Marchionne e sul suo operato, criticabile per certi versi apprezzabile per altri, resta il fatto che molte delle cose che ha detto sono quelle classiche che tutti sanno ma che nessuno vuole mai affrontare con serietà e voglia di fare, adagiandosi sopra a un generico “In Italia le cose vanno male, cosa possiamo fare?”, scrollando le spallucce in modo sconsolato. Eppure, è stato proprio il rapporto con il sistema mondo la parte più interessante della sua intervista: cosa siamo in Italia in rapporto al resto del mondo? Perché è innegabile che, piaccia o non piaccia, è anacronistico riferirsi ormai ai confini nazionali per riferirsi ad una data situazione, in questo caso economica. Il mondo è sempre stato un ingranaggio che funziona come un tutt’uno, eppure facciamo di tutto per dimenticarlo e, forse, il fatto che sia uno che viene dal Canada a ricordarcelo è significativo del livello di consapevolezza che il sistema Italia ha del sistema mondo.

Così, diventa troppo impegnativo parlare di competitività internazionale, di produzione e produttività, di mercati integrati senza cadere nel qualunquismo generico che è tutto sbagliato. Ma le cose per cambiarle occorre comprenderle, altrimenti si forma solo un dogma, e per capirle occorre ragionare, porsi dei problemi e cercare soluzioni per risolverli e migliorare la situazione. Soprattutto, occorre porsi delle domande. Ma il sistema Italia, così pateticamente rinchiuso su se stesso, nei suoi problemi e nei suoi gossip, non ha più forze per farlo. Ci si aggrappa a risposte formulate a partire da domande di livello zero, così che ogni conseguenza è direttamente collegata ad una causa primaria, l’unica. In sostanza, è esattamente come un credo religioso. Il berlusconismo con i suoi mille rivoli è la causa indicata per questo modo di pensare, quando è poi una delle conseguenze di un generale affanno, di una incapacità a formulare domande e all’impegno a ricercare risposte.

Se quindi è troppo complicato rispondere ai quesiti di Marchionne, capita a proposito quel maledetto bonga bonga, il viso metà rossetto e metà pixel di una ragazza, la presunzione di dire che tutto il mondo parli di questo.

Eppure, perché non abbiamo nient’altro da offrire? Cosa prendiamo dal mondo e cosa diamo in cambio? Non si tratta solo di Berlusconi, ma di tutto un pensiero corrente che sminuisce il fatto che nel mondo le cose vanno avanti, peggiorano, s’incrinano e diventa un mondo più fragile. Se partono ordigni esplosivi dallo Yemen, se scoppia una bomba ad Istanbul, se ci sono scoppi di fucili al confine delle due Coree, se l’Indonesia santifica il suo dittatore, se il centro del commercio si sposta via dall’Europa cos’altro abbiamo da offrire oltre al bonga bonga? Il nulla. E continui lamenti, e continue spallucce, e continui...

Milesmood

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Il grande colibrì