Binetti o Mancuso, che differenza fa? La laicità umiliata da chi porta il suo Dio in Parlamento

Aurelio Mancuso, ex presidente di Arcigay, prende la tessera del PD. Fatti suoi, verrebbe da dire. Fatti suoi, aggiungerei, anche se per iscriversi al PD scrive una lettera pubblica a Pierluigi Bersani. E allora perché tornare a ragionar di Aurelio Mancuso, invece che guardare e passare?

Il problema non sta più nella gestione personalistica, poco democratica e trasparente di un'associazione da lui stesso descritta come "troppo aristocratica" (ma molto di più racconta la definizione fornita nella nostra intervista da Paolo Patanè, attuale presidente di Arcigay: "Un contenitore di ceto politico più che di senso politico"). Non sta neppure nel fatto che Mancuso, in 8 anni di gestione della più grande associazione nazionale lesbica e gay italiana, non abbia portato a casa nulla, se non l'immensa pubblicità gratuita fornita a Povia, un cantantucolo omofobo che ormai nessuno ricordava più.

Per il PD potrebbe essere un problema il fatto che Aurelio Mancuso, rimasto senza poltrona, un mese fa strizzasse l'occhio alla destra, condendo la proposta di dialogo con la maggioranza con lamentele come "Nel movimento se non sei di sinistra sei guardato con sospetto" o "Le sinistre italiane hanno mai fatto qualcosa di realmente concreto sul piano del riconoscimento sostanziale dei nostri diritti?" [Gaynews24]. Ma questo non è un problema: le giravolte son di moda ormai in politica (anche se non si capisce cosa sia cambiato dal 25 febbraio a oggi: l'atteggiamento del PD verso i diritti, o i sondaggi?).

E allora perché tornare a parlare di Aurelio Mancuso? Perché il delirio evangelizzatore che portava il presidente di Arcigay a credere che la propria missione fosse quella di fare teologia e di convertire il papa ("Ricordiamo a Ratzinger che l’insegnamento cristiano dà pari dignità a tutti gli amori e non guarda in faccia al sesso della persona verso il quale questo amore è rivolto", Gaynews24), è ancora molto presente nella sua lettera a Bersani [Gaynews24].

E se nella lettera Mancuso si limita a scrivere che "da persona appartenente al cattolicesimo di base, interpreto la mia fede come un elemento che aiuta il dialogo e non aggiunge alcun inutile aggettivo alla pratica rigorosa della laicità" (?), in un'intervista all'Unità si lancia ancor di più: "Provengo dal cattolicesimo di base, da quell’area che dal Concilio Vaticano II ha fatto una riflessione e un percorso di base all’interno della Chiesa e critica molto fermamente il fatto che rispetto ai valori di quel Concilio si sia fatto ben poco e si sia andati in altra direzione. La Chiesa deve dialogare con la società moderna, non temerla come invece è accaduto negli ultimi decenni. Un cattolico impegnato in politica deve porsi lo stesso obiettivo".

Ecco il punto: Mancuso è la dimostrazione che in questo povero paese l'umiliazione quotidiana della laicità non proviene solo dalle Binetti e dai Casini, ma è il cuore dell'azione di tanti, anche di chi dovrebbe considerare la difesa della laicità come letteralmente vitale. Gente che non ha capito che il discorso religioso dovrebbe essere semplicemente estraneo al discorso politico (perché posti su piani del tutto differenti) e invece continua a giocare al religioso-buono-religioso-cattivo: se sei del mio stesso credo attualo in politica, altrimenti ricordati che siamo un paese laico!

Little Prince(ss)

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6 commenti:

  1. Ottimo articolo e pienamente condivisibile. Complimenti :)

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  2. Il signor "distinti e distanti dai partiti" si è già iscritto in un partito? Ma dai, chi l'avrebbe mai detto! AHAHAHAH

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  3. Dopo l'addio della Binetti mi ero quasi convinto a votare PD , ma l'arrivo di Mancuso mi toglie la voglia...

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  4. Avevo scommesso sulla sua iscrizione al PD nel giro di poco tempo: così la sua corsa alla poltrona ha prodotto almeno un esito positivo, anche se penso che sarà l'unico!

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  5. Articolo bello, ma inutile: quelli come Mancuso capiscono solo il linguaggio delle poltrone, puoi dirgli quello che vuoi ma faranno orecchie da mercanti.

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Il grande colibrì