Le vostre lettere volano: dopo i primi risultati, continua la campagna per gli eritrei in Libia

Torture, grida di dolore, sangue, terrore. Bambini spariti, probabilmente venduti ai mercanti di carne umana, alcuni smembrati perché a volte la vendita della somma dei suoi organi frutta più di un bambino vivo. Vestiti lacerati, pianti, violenze, violenze sessuali, violenze sessuali di gruppo. Fame, tanta fame, sete, sete da impazzire.

Quelli che giungono da noi sono quasi sempre solo i frammenti di un vita. O di una morte. Vite e morti di gente partita da lontano, fuggita dall'inferno della guerra, della persecuzione o di una miseria così nera da farci capire che davvero il nero è assenza totale di luce. Gente che proprio quando apparve una montagna, bruna per la distanza, proprio quando apparve all'orizzonte il purgatorio italiano, si è trovata costretta a precipitare nell'inferno ancora più profondo, più oscuro, più buio - più nero - dei lager della Libia del "caro amico Muammar" Gheddafi.

Noi li chiamiamo migranti, ma forse, in questo mondo che sorride ai cagnolini e schiaccia i bambini, li dovremmo chiamare migratori. Perché di quegli uccelli che chiamiamo migratori abbiamo più rispetto, nutriamo più interesse. Addosso a quegli uccelli che chiamiamo migratori attacchiamo piccoli trasmettitori che ci permettono di ricostruirne il percorso, di capire che fine fanno. Addosso a quegli esseri umani che chiamiamo migranti, invece, non attacchiamo niente, se non il nostro silenzio, la nostra indifferenza, la nostra paura fatta di ignoranza e di convenienza più che di tremori.

Poi qualche eccezione esiste. Come quella degli oltre 200 profughi eritrei in Libia. Alcune associazioni sono riuscite a individuarli e noi, tutti noi, siamo riusciti a trasformarli da migranti a migratori. NoirPink - modello Pandemonium e Gruppo EveryOne hanno lanciato una campagna, l'amico Riccardo Tromba ha trasformato la lettera in un file che può essere completato e stampato in pochissimo tempo, tante persone e tanti blog hanno diffuso l'appello, un fiume - forse, per i feticisti dei grandissimi numeri, un fiumiciattolo, ma un fiumiciattolo testardo - di mail e di lettere è arrivato alle istituzioni internazionali ed europee.

Abbiamo trasformato dei migranti in migratori. Abbiamo appeso al loro collo un trasmettitore, seppur virtuale. Ma non basta: le batterie si possono esaurire, il ponte radio può cadere, e poi, insomma, non basta un trasmettitore al collo per salvare una vita. Non basta trasformare degli esseri umani migranti in esseri umani migratori. Bisogna farli tornare essere umani, sani e salvi, senza altri aggettivi. E bisogna farlo perché altrimenti saremo noi a non avere più la dignità di portare al collo l'unico aggettivo che spetta di diritto a ciascun essere umano: "umano", appunto.

Facciamo allora il punto sulla campagna per i profughi eritrei in Libia con Roberto Malini, fondatore e co-presidente di Gruppo EveryOne, che ritroveremo nei prossimi giorni per raccontare altre storie in cui i protagonisti, anche se a prima vista non sembra, siamo anche noi.

* * *

Come sta procedendo la campagna che abbiamo lanciato pochi giorni fa per salvare i profughi eritrei in Libia?

La campagna ha sollecitato l'intervento dello Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui Diritti Umani dei Migranti, Jorge Bustamante, che ha deciso di occuparsi del caso.


E' davvero un risultato così importante?

Sì, perché questo significa che, per la prima volta da quando sono fuggiti dalla crisi umanitaria in Eritrea, i profughi eritrei non si trovano più in stato di abbandono. Nel periodo durante il quale le Nazioni Unite esamineranno la loro situazione umanitaria e giuridica alla luce della Convenzione di Ginevra e delle leggi internazionali che proteggono i migranti nel mondo, il rischio di deportazione dovrebbe risultare minimo.


Insomma, mandare e-mail e lettere è stato e continua ad essere tutt'altro che inutile!

Le lettere pervenute alle istituzioni Ue avranno un ruolo fondamentale, nel prossimo futuro: speriamo che siano tante. Dobbiamo continuare a vigilare, in attesa della risposta europea, ed essere pronti ad attivare nuove campagne, per evitare che si affermino teoremi capaci di mascherare la xenofobia dietro il paravento di opportunità nazionali e continentali.


Scampato pericolo, insomma?

L'Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo, che è in stretto contatto con i profughi detenuti in Libia, non ci ha comunicato pericoli imminenti. Ma c'è un grave problema, a questo punto, e cioè il rifiuto da parte dell'Italia di riconoscere ai profughi il loro diritto alla protezione umanitaria sul suolo del nostro paese. E' importante, ora, che l'Onu eserciti la massima pressione sull'Unione europea affinché ai profughi sia accordato asilo e sia realizzato un piano di accoglienza e reinsediamento distribuito in più stati membri Ue.


Little Prince(ss)

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