"Milk" di Gus Van Sant: una storia attuale, ma senza analisi e con emozioni troppo facili

Harvey Milk, il sindaco di Castro Street: un uomo che ha fatto la storia del movimento per i diritti degli omosessuali negli Stati Uniti, dove numerosi gruppi gay hanno preso il suo nome. Dopo un documentario ("The times of Harvey Milk" di Rob Epstein del 1984), ecco che il cinema torna a cercare di raccontare questo personaggio con il biopic "Milk" di Gus Van Sant.

Certo al successo del film, per il quale c'è da aspettarsi un ricco bottino agli Oscar, contribuisce non poco la sua attualità: trent'anni fa la California rigettava la Proposition 6, che chiedeva il licenziamento dei professori omosessuali, mentre oggi la Proposition 8, contro i matrimoni omosessuali, esce vincitrice da un referendum che lascia molti dubbi. E di fronte a quest'America che apre le porte della Casa Bianca ad un nero, ma che contemporaneamente continua a negare i diritti civili a gay e lesbiche, la storia di Harey Milk fa meditare. E non sono sempre pensieri positivi...

Ed è soprattutto la sua attualità a rendere interessante "Milk". Perché il film, tecnicamente buono, non è certo un capolavoro: mette in scena un susseguirsi di eventi, di dettagli e di aneddoti che non riescono mai ad amalgamarsi davvero, che non riescono mai a raggiungere né la capacità di analisi del documentario né la forza narrativa del dramma. Le emozioni non mancano, a dire il vero, ma arrivano sempre quando ti aspetti che debbano arrivare (il discorso, la marcia, la morte...), senza coglierti mai di sorpresa, senza mai squarciare il velo dell'ovvio.

Anche la splendida prova di Sean Penn, che impersona lo stesso Harvey Milk con grande umanità e naturalezza, non riesce a dar vita a un personaggio a tutto tondo, per colpa di una sceneggiatura che, volendo raccontare tutto, si limita a giustapporre eventi, ad accennarli, a suggerirli... (Milk si interessava anche agli anziani? Titolo di volantino sugli anziani, immagine di anziano aiutato da Milk, stop).

Sia chiaro: "Milk", film in giacca e cravatta, piacerà ai più, come piacciono i film posati e gentili. E pazienza se alla fine risulta un po' banale e non dice nulla di nuovo: è questo il tributo che occorre pagare per diventare mainstream, no?

Prendiamo, ad esempio, il tema della sessualità, presentata sempre in modo velato, ingentilito: il famosissimo bacio di Sean Penn, che tanto a fatto parlare la stampa di tutto il mondo, dura un frammento di secondo e per il resto niente sesso, niente intimità, niente erotismo (non vorremo chiamare erotismo un attore che si inginocchia davanti all'altro, con la telecamera fissa sul busto di quello che rimane in piedi, vero?). E se Harvey Milk batteva i cessi pubblici, se ne fa un accenno, vago e fugace, in qualche scambio di battute: si spera forse che lo spettatore eterosessuale non colga?

Sia chiaro: esistono splendidi film in cui al sesso neppure si accenna. Ma questa scelta narrativa che senso può avere in un film che parla delle discriminazioni contro gli omosessuali? Le discriminazioni nascevano - e nascono - sul loro modo di vestirsi o sul loro modo di scopare? Erano massacrati di botte i gay che facevano la calza a casa o quelli che cercavano compagni di sesso per le strade?

Con l'uccisione del protagonista (evento che apre e chiude il film), "Milk" cerca di volare alto, di trovare la poeticità che non ha. E lo fa con scelte narrative per lacrime facili: il momento della morte prolungato davanti al teatro in cui si mette in scena l'amatissima Tosca e il colpo di scena finale, che definire prevedibile e scontato è poco (la stessa scena la ritroviamo in "I cento passi" di Marco Tullio Giordana con ben altro impatto emotivo)...

Qualche parola merita anche la figura di Harvey Milk, come attivista e politico. Milk appare e si presenta come una sorta di "Cristo dei gay", colui che è pronto a rinunciare a tutto, compreso l'amore, e a porsi come bersaglio per i nemici. Morirà per tutti i gay disgraziati, emarginati, discriminati e sull'orlo del suicidio. C'è molta cultura del sacrificio e del martirio, in fondo. Siamo lontani anni luce dalle splendide e coloratissime drag queen che si oppongono cantando e ballando alla polizia, alla fine di "Stonewall" di Nigel Finch.

Milk è anche un abilissimo politico, ma la politica di Milk non è sempre una "bella politica": gli altissimi ideali della teoria si traducono nella pratica in tanti piccoli sotterfugi, colpi bassi, inganni, slealtà... La sua figura spinge a porsi domande estremamente interessanti, ma propone anche risposte da non accettare supinamente. Sarà un caso che la visione del film è stata capace anche di diventare pretesto per dar voce solo a piccole beghe movimentiste (NotizieGay)?

Little Prince(ss)

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3 commenti:

  1. Oramai sono fuori dal mondo, su questo film non avevo ancora letto nulla: grazie della segnalazione!

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  2. Hai mai visto lo splendido "Splendori e miserie di Madame Royale" con Ugo Tognazzi?

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  3. Aggiungo che io ho detestato anche "Philadelphia". Ovvio che in un film sull'AIDS dovessero metterci un gay con l'AIDS. L'AIDS mica colpisce le persone normali. Mavaffanculova.

    Per quel che riguarda il tuo commento sul film, mi ricordo della più bella battuta di Cacioppo: "Ho detto a mio figlio: studiare è importante, vuoi fare la fine del muratore frocio al seminterrato? Guarda invece che classe l'avvocato omosessuale dell'ultimo piano!"

    Comunque sto Milk lo guarderò prima o poi. Non so bene quando.

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Il grande colibrì