Paolo Patanè, candidato presidente dell'Arcigay in crisi: "Voglio una politica a tutto tondo"

Arcigay si prepara a celebrare il suo 13° congresso nazionale che si terrà dal 12 al 14 febbraio a Perugia. Il presidente uscente, Aurelio Mancuso, non si ricandida, stretto dalle critiche per i risultati indubbiamente scarsi e dal proliferare di organizzazioni e iniziative alternative che spesso, implicitamente o esplicitamente, fondano la propria esistenza in una volontà di contrapposizione con "mamma Arcigay".

Certo, tutto questo subbuglio di rivolta contro la principale associazione lesbica e gay italiana lascia spesso il tempo che trova, ma è comunque un indice evidente del profondo disamore creatosi tra Arcigay e la comunità *qtlgb, come testimoniano anche i congressi provinciali celebrati per eleggere i delegati nazionali: dove non ci sono state polemiche roventi (il clima da guerra civile del congresso romano si commenta da solo), spesso a farla da padrone è stato un impressionante astensionismo (17 voti espressi in tutta la provincia di Napoli, 7 in quella di Firenze, solo per fare due esempi).

In questo clima desolante, si fronteggeranno due mozioni contrapposte: "Essere futuro", che esprime l'unico candidato alla presidenza, Paolo Patanè (nella foto a lato), leader dell'attivismo *qtlgb siciliano, e "Inarrestabile cambiamento", per la quale nessuno ha scelto di mettersi in gioco per la guida dell'associazione. Senza nessuna sorpresa, la prima mozione è stata ampiamente la più votata dai soci, rendendo praticamente certa l'elezione di Patanè alla presidenza di Arcigay. Noi lo abbiamo intervistato.

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Arcigay si avvia al suo 13° congresso nazionale in una situazione difficile per la società e la politica italiana. Quali sono le principali sfide che si vogliono affrontare?

La prima sfida è di riposizionamento, ovvero di chiarezza rispetto ad una definitiva autonomia dai partiti e di costruzione di un’agenda politica davvero nostra che dia centralità alla politica tutta e non alle mire elettorali. Poi mi piacerebbe che Arcigay affrontasse il nodo di come essere palpabile nella società, ovvero percepibile attraverso luoghi (case di accoglienza, centri antiviolenza, cooperative sociali...) o iniziative concrete legate ad una strategia politica costruita nel medio e lungo periodo senza rincorrere l’occasionalità o la mera ribalta mediatica.


Quali obiettivi ritiene realisticamente raggiungibili nei prossimi anni?

Credo che realisticamente gli obiettivi vadano commisurati al quadro politico-parlamentare che conosciamo, però il rilancio del dibattito ad un livello alto e senza sconti ed il conseguimento di risultati sul piano della strategia giudiziaria sono assolutamente possibili e potrebbero darci grandi soddisfazioni. Puntiamo a rafforzarci come associazione e sono convinto che arriveranno risultati.


Uno dei temi principali di dibattito è costituito dalla scelta tra la difesa della "specifità omosessuale", sostenuta ad esempio dal presidente uscente Aurelio Mancuso, e la volontà di costruire una convergenza politica forte con gli altri movimenti per le libertà ed i diritti umani. Lei come si pone in tale dibattito?

Dico che non possiamo permetterci di arretrare su nulla. Va benissimo la specificità omosessuale, ma in tempi di ridefinizione della nostra autonomia dai partiti è inevitabile che le interlocuzioni si allarghino e studiare percorsi di convergenza con altri movimenti è un dovere politico. Penso oltretutto che i tempi siano maturi per provare a fare non solo la “politica per le persone lgbt”, ma anche la “politica delle persone lgbt”, proponendoci, se ci riusciremo, con un nostro metodo di lettura e di prassi politica a tutto tondo che affronti con la nostra specificità argomenti politici, economici e sociali decisamente più ampli.


Arcigay è da anni la più grande associazione lgbt italiana e quasi l'unica che sia conosciuta anche al di fuori della comunità. Fatto che spesso comporta più oneri che onori... Come pensa che si potrebbe rendere meno burrascoso il mare magnum del movimento *qtlgb italiano?

Arcigay ha il vantaggio di non essere sola nel panorama del Movimento... e sottolineo il vantaggio. Io sono convinto che un cambiamento di atteggiamenti e di approccio sarebbe già fondamentale. Sostengo la necessità di uscire da una certa idea “monocromatica”: chi lo dice che sia meglio fare tutti la stessa cosa? Credo sia più utile e strategico perseguire gli stessi obiettivi ognuno facendo ricorso al suo proprio patrimonio di percorso, cultura e storia politica.

Pensare questo già significa compiere un salto di avvicinamento a chi ha storie e dimensioni diverse e porre basi più utili e solide ad un progetto di confederazione lgbt.


A proposito di burrasche, Arcigay ha subito negli ultimi mesi attacchi pesantissimi e spesso evidentemente pretestuosi da parte di alcune associazioni e di alcuni media gay. Secondo lei, perché si è scatenato tutto questo pandemonio? C'erano secondi fini?

Difficile dire se secondi o terzi fini c’erano, ma è chiaro che Arcigay non si è sottratta a quelle forche caudine che vengono imposte a tutte le realtà in crisi e che possono attirare i ragionamenti o persino le ambizioni di chi voglia acquistarne il controllo in una fase di grave fragilità. Il rischio di esporsi a dietrologie è però alto ed io lo eviterei. Mi limito a dire che molti sono stati impietosi, ma noi non abbiamo fatto molto per evitare che lo fossero. Troppi gli errori commessi e tutti secondo me utili a trasformarsi in incentivi a migliorare attraverso una sana, matura, serena autocritica.


Arcigay è un'associazione aristocratica, in difficoltà, bisognosa di cambiamento e rinnovamento, con gravi problemi di democrazia... A denunciarlo è anche il presidente uscente Aurelio Mancuso, ai vertici di Arcigay dal 2002, prima come segretario e poi come presidente. Non sarà che la presidenza Arcigay è come quella PD, tante belle parole prima e dopo l'incarico e il vuoto durante?

La domanda è “tosta”, ma non voglio sottrarmi. Penso che sia una questione di prospettive, perché mi rendo conto che negli ultimi anni Arcigay è stata un contenitore di ceto politico più che di senso politico. E’ duro dirlo, ma è così, e non deve stupire dunque se standone all’interno sia stato e rischi di essere più difficile cogliere la distanza aristocratica che quel ceto politico ha frapposto tra sé e la gente. Quando guardi le cose solo da un angolo di possibile visuale, ti sfugge tutto il resto.

Non sostengo responsabilità di singoli perché sono convinto che questa cecità sia dipesa da una certa cultura politica ed organizzativa interna: è quella che deve mutare, ma soprattutto le prassi partitocratiche che la governano. Dopo di che, se mi passate la battuta, spero che quella della somiglianza con la presidenza PD o di qualsiasi altro partito non sia un anatema inevitabile… Ne sarei davvero angosciato in caso di elezione!


Distinti e distanti dai partiti durante i congressi e alla ricerca di candidature subito dopo; paladini assoluti della laicità impegnati però a sfornare un numero enorme di comunicati stampa teologici per controbattere alle parole del Papa; esaltatori dell'autonomia dei circoli provinciali a parole e accentratori nei fatti... Tanti osservatori interni ed esterni ad Arcigay dipingono un'associazione nel caos, senza una guida. Raccontano ancora degli sms inviati da Mancuso per invitare a votare un candidato presidente provinciale e non un altro. E in molti dubitano che le cose potranno cambiare con il prossimo congresso...

Io invece avverto la possibilità di un formidabile cambiamento. Se ci pensate una generazione associativa del tutto nuova si affaccia a questo Congresso proponendosi per un cambio di dirigenza che rischia di essere profondamente innovativo soprattutto nei metodi oltre che nelle persone. Rimango convinto che dire di no a qualunque compromesso o logica spartitoria sia già una reale novità per Arcigay.

E poi avere due mozioni è un fatto inedito per la nostra storia, ma che ci permette per la prima volta di affrontare la grande sfida di crescita politica e democratica: ci si confronta fuori dall’ipocrisia della finta unità a tutti i costi; si propongono temi, idee e persone senza pasticci e compromessi; il Congresso decide democraticamente e chi vince lo fa nell’interesse di tutte e tutti e non solo di una parte. Se andrà così, a vincere sarà l’Arcigay vera delle socie e dei soci. Dei militanti che hanno bisogno di credere in un nuovo spirito associativo.


Negli ultimi decenni, la riflessione femminista e quella contro le discriminazioni hanno posto l'accento sulla necessità di superare la visione delle persone discriminate come "minoranza" o come "soggetti deboli" per puntare sulla valorizzazione delle potenzialità degli individui e sulla loro autodeterminazione. Alcune parti di Arcigay e del movimento vogliono invece puntare sulla lotta al "minority stress", enfatizzando un presunto malessere psichico delle persone omosessuali dovuto al fatto di appartenere ad una minoranza. Lei cosa ne pensa?

L’analisi fondata sul “minority stress” è assolutamente importante per ricostruire e comprendere l’iniquità della condizione di minoranza discriminata, ma mi sembra poco per costruirne la dignità. Intendo dire che sono ad esempio molto più incisive l’iniziativa di affermazione civile e la strategia giudiziaria, perché hanno in sé come implicita l’idea ben più forte che le persone lgbt sono pienamente cittadine di questo Paese e rivendicano l’attivazione dei loro diritti costituzionalmente garantiti attraverso gli strumenti che l’Ordinamento gli offre. Mi convince di più.


Little Prince(ss)

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2 commenti:

  1. speriamo che una volta eletto metta in pratica ciò che dice.

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  2. a me sembra un limite il fatto che ci si chieda solo come deve essere l'arci gay futura mentre manca completamente una riflessione su cosa è l'italia di oggi. Un solo esempio: quanto incide sulla visibilità dei gay il fatto che la stragrande maggioranza dei giovani italiani vive con mamma e papà ? quanto conta che in italia non ci siano vere metropoli ? ecc ecc

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Il grande colibrì