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Cosa sta succendo nel Sinai? Quali novità ci sono?
La situazione a Rafah, città in cui si trovano ancora 150 migranti eritrei, sta trasformandosi in tragedia, perché dopo otto omicidi, quattro sparizioni di giovani uomini (probabilmente sacrificati al mercato clandestino dei reni e di altri organi umani), torture, stupri e vessazioni di ogni genere, molti degli eritrei sono in fin di vita. I bambini e le donne sono ridotti a larve, mentre via via i più giovani vengono condotti in laboratori clandestini per l'espianto dei reni. Dei cento profughi allontanati da Rafah, sotto gli occhi della polizia, e destinati ad altra località, per ora non si hanno notizie.
Le prospettive per il futuro sono anche peggiori, vero?
I cambiamenti dipendono da quanto noi difensori dei diritti umani, lavorando insieme, saremo convincenti nei confronti dell'Onu, dell'Ue, del governo egiziano. Da quanto scandalo sapremo suscitare nelle coscienze di tutti. Quello che è stato fatto finora, non basta.
E quindi cosa state facendo come Gruppo EveryOne?
Da parte nostra, abbiamo avviato indagini sul posto per identificare tracce precise con cui inchiodare i rapitori-assassini alle loro responsabilità: sembra l'unico modo per costringere il governo egiziano a uscire dallo stallo. Stallo che è causato sia da una stretta connivenza fra trafficanti e autorità, sia dal potere ormai fuori controllo delle reti di mercanti di carne umana - e droga, e armi... - che non sono solo alcune tribù beduine, ma anche le mafie che operano con loro, in primis quella russa.
Abbiamo poi preso contatti con l'ambasciatore italiano al Cairo per ottenere con urgenza il visto necessario per operare a Rafah e nel Sinai in veste di operatori umanitari. Contemporaneamente, abbiamo sottoposto la nostra richiesta al consolato della Repubblica Araba d'Egitto.
Se il visto ci sarà accordato - una negazione sarebbe scandalosa e senza precedenti, segnale di cattiva fede da parte delle autorità egiziane - andremo a Rafah già nella prossima settimana, prenderemo contatto con le autorità governative e le aiuteremo a raggiungere il covo dei predoni, per liberare i superstiti e conoscere la sorte degli scomparsi.
E invece, noi cittadini che rimarremo in Italia, cosa possiamo fare?
I cittadini possono scrivere all'ambasciata e al consolato dell'Egitto, chiedendo alle autorità di salvare la vita dei profughi eritrei e perseguire a norma di legge i rapitori e gli assassini.
Certe tragedie umanitarie lasciano spesso un senso di impotenza, sembrano orrori privi di soluzioni possibili... Gli Stati, l'Unione Europea e le organizzazioni internazionali possono davvero fare qualcosa?
Le Nazioni Unite sottovalutano il problema e articolano contatti diplomatici senza esprimere una chiara condanna, se si eccettua proprio la rappresentante italiana dell'Alto Commissario per i Rifugiati, Laura Boldrini, che esprime con chiarezza e senza mezzi termini il suo sdegno per queste persecuzioni, per questi crimini contro l'umanità.
L'Unione europea è concentrata su temi più vicini alle dinamiche del nostro continente e non sembra capire che la macchina persecutoria che sta stritolando i migranti, i profughi, i richiedenti asilo ha gli ingranaggi principali proprio qui in Europa, ingranaggi messi in moto dall'intolleranza, dalla repressione degli stranieri poveri, dei respingimenti, dal sistema disumano dei Cie e delle retate contro gli stranieri senza documenti. Siamo noi ad aver iniziato questo nuovo Olocausto.
In questo contesto, anche le ong e i difensori dei diritti umani sono perseguitati, ma sono proprio gli ideali umanitari, è proprio la cultura della tolleranza la sola arma contro i movimenti xenofobi, che hanno messo in atto patti scellerati con dittatori e governi che non rispettano i diritti umani, conducendoci a questi orrori. Un giorno i fautori dei respingimenti e di tali accordi inumani saranno chiamati "criminali contro l'umanità", ma il presente è loro e sono loro a condurre le danze, su una pista di sangue e lacrime.
Prima dell'appello per i profughi nel Sinai, avevamo lanciato, in settembre, un appello per oltre 200 altri profughi eritrei in gravi condizioni in Libia. Eravamo riusciti a raggiungere importanti risultati, con risposte dall'Alto Commissario Onu per i Rifugiati e dalla Commissione Europea, ma non ci sono stati gli sviluppi positivi che ci auguravamo tutti quanti...
Le novità non sono buone. Alcuni di loro sono ancora in Libia, ma senza permesso di soggiorno e senza possibilità di ottenere protezione umanitaria. Vivono nascosti, aiutati da cittadini di buona volontà, aspettando un intervento da parte di qualcuno: le Nazioni Unite, l'Unione europea oppure... Dio (Allah, per gli islamici). Purtroppo, alcuni di quei profughi fanno parte del gruppo che è ora nelle mani dei trafficanti e hanno subito lo stesso destino toccato a tutti loro: violenza, torture, minacce, continue estorsioni rivolte ai parenti in Europa, stupri e crudeltà di ogni genere su donne e bambini, omicidi.
Tutto è fermo, in Egitto come in Libia, sotto gli occhi spietati di Gheddafi e dei suoi amici italiani, sotto gli occhi indifferenti dell'Unione europea, sotto gli occhi ormai incapaci di compassione delle Nazioni Unite.
Non ci sono proprio segni di speranza?
In questo panorama desolante, l'unica nota positiva è proprio il fatto che le violazioni dei diritti dei migranti sono tornate a far parte delle agende delle Nazioni Unite, della Commissione europea, del Consiglio dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa. Dopo anni di indifferenza, in cui una cortina di silenzio ha impedito che certi orrori raggiungessero l'opinione pubblica, ora, grazie al lavoro dei difensori dei diritti umani, gli organismi internazionali si sentono sollecitati a recuperare la loro funzione, all'insegna della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Non sarà una ripartenza immediata, dopo tanta inerzia, ma sicuramente un dispositivo virtuoso si è messo in moto. Non a caso il nostro Gruppo è ormai periodicamente contattato da tutti gli Special Rapporteur che fanno capo all'Alto Commissario ONU per i Rifugiati e a quello per i Diritti Umani. Ci cercano per avere notizie sui migranti e i richiedenti asilo, sui Rom e i Sinti, sulla condizione delle donne, dei bambini e delle minoranze di genere.
Lo stesso avviene per quanto riguarda le istituzioni europee e se creeremo una rete umanitaria unita ed efficace, tutti noi potremo essere determinanti perché avvenga il cambiamento e "diritti umani" non sia più l'espressione di un concetto astratto, ma una priorità politica e operativa.
Little Prince(ss)
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Quello che sta accadendo è allucinante. Quando si inneggia all'odio, al razzismo, all'xenofobia mi chiedo se si sappia davvero quali siano le reali conseguenze. Queste persone sanno che finanziare i lager in libia vuol dire perpetuare la schiavitù, la violenza, le sevizie, lo stupro ed eccc??? Quelli che manovrano il tutto lo sanno sicuramente, ma le masse che li seguono sono altrettanto informate? E non mi riferisco ai razzisti incalliti, quelli che odiano le differenze perchè temono il confronto con l'altro/a, perchè così potrebbero perdere le false certezze su cui si basa la loro misera vita. Parlo degli uomini e delle donne che sono disperat@, che la disoccupazione e la miseria ormai prossima porta a credere all'inverosimile, ovvero che il nemico è lo straniero che ci ruba il lavoro. Quelle persone non sanno di essere strumentalizzate dal governo, non sanno che odiare gli immigrati, lottare contro di loro è proprio ciò che il governa si auspica per fortificarsi e dividere la lotta operaia. Se quelle persone sapessero che stanno lottando contro chi sta anche peggio, contro chi scappa da guerre, torture, stupri, violenze, dittature... beh se lo sapessero credo che si unirebbero. In parte ciò è trapelato, grazie anche a post come questi, ma c'è ancora tanta gente che non conosce ancora la realtà. Quindi l'informazione non è mai troppa. Faccio girare questa notizia il più possibile. Grazie.
RispondiEliminaHanno informato l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e le altre agenzie delle Nazioni Unite, Amnesty International e Human rigths watch. Lo stesso Benedetto XVI ha lanciato un appello per la liberazione dei profughi imprigionati da quasi un mese nel deserto del Sinai. Eppure, nulla si è mosso, duecento vite si stanno spegnendo nell’indifferenza più totale.
RispondiElimina«Perché nessuno interviene? Perché si sta perdendo tempo?»: l’ennesimo, disperato appello raccolto ieri dall’instancabile don Mosè Zerai, direttore dell’agenzia Habeshia: «L’immobilismo del governo egiziano è incredibile: le autorità sono informate da almeno una settimana eppure non succede nulla», commenta. Sabato pomeriggio due giovani diaconi della chiesa ortodossa erano stati uccisi, di fronte ai 150 profughi ancora detenuti a Rafah. Animavano il gruppo nella preghiera ed erano visti un po’ come i leader del gruppo. I trafficanti di Abu Khaled li hanno accusati di aver lanciato l’allarme e uccisi.
«Almeno queste due morti si sarebbero potute evitare, se il governo egiziano si fosse mosso tempestivamente – commenta don Zerai –. E invece, stando a quello che riportano i media egiziani, le autorità locali continuano a sostenere di non avere informazioni».
Si muove, intanto, anche il Parlamento europeo che giovedì voterà, su proposta del capo delegazione Pdl, Mario Mauro, una risoluzione urgente sulla questione. «Il Parlamento deve chiedere subito all’Ue di intensificare le pressioni sul governo egiziano per salvare queste vite – ha detto Mauro –. Non possiamo tollerare che una banda di trafficanti di esseri umani possa tenere in ostaggio, torturare e uccidere donne incinte e bambini». Mentre i due vicepresidenti italiani all’Europarlamento, Gianni Pittella (Pd) e Roberta Angelilli (Pdl) chiedono che «l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue intervenga immediatamente perché sia posto fine al calvario di queste persone indifese».
Giorno dopo giorno, la situazione dei 150 profughi ancora detenuti a Rafah si fa sempre più drammatica. Mentre non si hanno notizie da giorni del gruppo, formato da un centinaio di uomini e donne, che venerdì scorso è stato trasferito e nascosto in una località ancora sconosciuta. E così, stanchi di rimbalzare contro un muro di gomma e di indifferenza, Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti del Gruppo EveryOne, si stanno preparando a partire per il Sinai. Già in settimana, potrebbero prendere un volo per il Cairo: «Abbiamo contattato l’ambasciatore italiano in Egitto, Claudio Pacifico, che ci ha garantito il massimo supporto – spiega Roberto Malini –. Vorremmo portare le autorità direttamente alla porta del covo dei trafficanti». Un’operazione che comporta un alto grado di rischio e che quindi può essere condotta solo con lo stretto supporto delle autorità governative del Cairo.
La gravità della situazione viene ribadita, qualora ce ne fosse ancora bisogno, da un rapporto diffuso nel fine settimana dall’associazione umanitaria "Medici per i diritti umani-Israele" che gestisce una clinica all’interno dell’Università di Tel Aviv. Qui, tra gennaio e novembre del 2010, 1.303 donne di origine africana sono state sottoposte a trattamenti ginecologici, la maggior parte dei quali si sono resi necessari a causa delle violenze subite nel Sinai. Altre 80 hanno perso il bambino che portavano in grembo. Per 367 persone sono state necessarie cure ortopediche e altre 225 sono state sottoposte a sedute di fisioterapia per curare le lesioni provocate dalle violenze dei trafficanti.
“Il Ministro degli Esteri egiziano, Ahmad Abul Ghait, mente sapendo di mentire, perché da giorni noi co-presidenti del Gruppo Everyone abbiamo comunicato al suo Governo tutte le informazioni per raggiungere i profughi, imprigionati nella periferia egiziana della città di Rafah, nei pressi di un edificio governativo, circondati da un frutteto, accanto a una grande moschea e a una chiesa trasformata in scuola, e nessuna autorità si è mossa”. Lo denunciano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, attivisti dell’organizzazione umanitaria che con l’Agenzia Habeshia segue da quasi un mese la vicenda dei 250 profughi eritrei ostaggio dei predoni nel Sinai del Nord, in Egitto.
RispondiElimina“Per altro” spiegano i rappresentanti di EveryOne, “da ore il testimone-chiave che avrebbe potuto condurre nel luogo esatto di detenzione le autorità di polizia non ci risponde al telefono, e temiamo che gli sia potuto accadere qualcosa. Il suo contatto era stato fornito a Junko Tadaki dello Special Procedure Branch delle Nazioni Unite e, attraverso la denuncia da noi depositata al Procuratore de Il Cairo, Maher Abd al-Wahid, anche al Ministero dell’Interno, al Primo Ministro e al Presidente della Repubblica Araba d’Egitto. Pertanto, ci auguriamo vivamente che le autorità egiziane non siano intervenute contro il ragazzo in qualche modo, intimidendolo o, peggio, facendo perdere le sua tracce; ciò significherebbe essere complici di questo dramma, come sembrerebbe evincersi dalle dichiarazioni odierne, assai destabilizzanti, del Ministro degli Esteri egiziano”.
EveryOne, che insieme ad Habeshia ha sentito al telefono i profughi nelle ultimissime ore, riferisce che le loro condizioni sono ormai critiche e molti stanno pensando di tentare il suicidio pur di sfuggire a una morte di stenti, nonché a continui stupri, torture e percosse. “Abbiamo con noi una lista di nomi e cognomi di alcuni dei detenuti” raccontano Malini, Pegoraro e Picciau, “ottenuta grazie a don Mussie Zerai, che l’ha trascritta in diretta telefonica mentre parlava con i prigionieri. Un documento che senza ogni dubbio testimonia questa persecuzione e l’incredibile ipocrisia del Governo egiziano davanti a un dramma di proporzioni tremende. Ci appelliamo al Parlamento europeo” concludono gli attivisti, “affinché domani si arrivi a varare un testo urgente per sollecitare un intervento della comunità internazionale e per scongiurare l’assassinio di altri innocenti. Ci rivolgiamo infine a Navi Pillay, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, affinché contatti noi e l’Agenzia Habeshia quanto prima e si renda disponibile ad ascoltare in diretta gli strazi e le testimonianze di queste persone, costrette a bere urina per sopravvivere e senza un filo di speranza per il proprio futuro”.