"The way I see things" di Brian Pera: mille seghe mentali per (non) raccontare la vita dopo il lutto

Inizio sotto tono per la 23° edizione del Festival MIX di Milano, dedicato al cinema gay, lesbico e transgender: un teatro Strehler pieno solo a metà si è dovuto sorbire prima la grande delicatezza di Daniela Benelli, assessore alla Cultura della giunta provinciale di Filippo Penati, la quale, in missione istituzionale, ha pensato bene di pubblicizzare la candidatura europea del PD Ivan Scalfarotto; e poi un film che ha raccolto ben pochi consensi...

"The way I see things" (che potremmo tradurre come "Il mio punto di vista sulle cose"), regia di Brian Pera, racconta le vicende di un ragazzo gay, Otto (interpretato dallo stesso Pera), che, dopo la morte del compagno Jody (Jonathan Ashford), rifiuta il fatto che "le cose devono andare avanti": si chiude in casa, si chiude in sé stesso, rifiuta l'aiuto dell'analista. Il migliore amico - o forse il "fantasma" - di Jody, Rob (ancora Ashford), decide allora di portarlo a fare un viaggio.

Ma Otto fugge e si ritrova in una setta new age dove si fa della pseudo-psicologia isolati tra gli alberi (ma "a valle si sente il rombare dei camion"), che altro non rappresenta che il mondo interiore del protagonista. Qui strani personaggi cercheranno di spingere Otto verso un'elaborazione del lutto in realtà inutile. Tuttavia l'esperienza servirà a rivedere e a rivivere il volto di Jody in Pherber (di nuovo Ashford) - un adepto o ancora un "fantasma" del compagno...?

La storia è tratta da un romanzo dello stesso Brian Pera, scritto per affrontare il dolore della morte, nel giro di pochi mesi, di entrambe le nonne, di uno zio e di due amici intimi. L'anno scorso Pera ha trasformato il proprio libro in questo film, di cui è non solo regista, sceneggiatore ed attore protagonista, ma anche produttore e designer del suono. Senza dimenticare che Pera si è occupato anche del montaggio... Insomma, si tratta un film molto più personale di quello che il titolo già indurrebbe pensare.

Purtroppo, al di là dell'ottima prova attorale di Pera e dello splendido bianco e nero di alcune scene (mentre i colori fortemente ed oniricamente saturi delle riprese nella comunità new age alla lunga stancano), il film cade nel peggiore dei rischi per un'opera così personale: infiocchetta mille discorsi intorno a pochi concetti (il disagio di dover andare avanti dopo un lutto, la ricerca in altre persone di chi si è perso...) presentati in modo elusivo, per accenni e suggerimenti, senza il coraggio della chiarezza. E così Pera finisce per erigere un inutile monumento di noia alle proprie seghe mentali.

Insomma, "The way I see things" fa esattamente l'opposto di quello che l'arte dovrebbe fare: prende un'idea e la impacchetta in mille inutili veli, mentre l'arte dovrebbe svelare, dovrebbe con ogni immagine raccontare cento idee, dare cento suggestioni, provocare cento sentimenti. O far aprire gli occhi su una realtà, anche una sola realtà, ma una realtà nuova, capace di abbagliare lo spettatore. E invece qui più che abbagliare si sbadiglia...

Little Prince(ss)

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