La difficile vita degli skinheads gay, tra pregiudizi, omofobia e feticismi fashion...

Il gay e lo skinhead operano come
poli opposti: ci ricordano cosa l'uomo
non dovrebbe essere. Essi segnano
gli estremi (opposti, ma ugualmente
inaccettabili) della mascolinità.
Il fatto che i due poli possano oggi
convergere in una sola identità
sconvolge le aspettative dominanti
sul comportamento maschile.
Murray Healy

Testa rasata. Jeans Levi's o pantaloni militari. Polo, maglietta aderente o canottiera. E la cintura, le bretelle, le spille. E soprattutto loro: gli stivali, preferibilmente Doc Martens, con dieci, venti, anche trenta buchi. In mano una birra, nel cuore il senso di fratellanza con i propri compagni, negli occhi l'orgoglio di far parte della classe lavoratrice e la voglia di far casino.

Esatto, hai di fronte uno skinhead. Ma smettila di tremare così. Non c'è nulla per cui tremare. O forse sì... ma stai tremando per la cosa sbagliata!

SKINHEADS

C'erano i “rude boys”, nei quartieri operai della Londra del '69. Erano giovani neri giamaicani, coi rasta, lo spinello in mano, la musica ska e la reputazione di violenti. E poi c'erano i “mods”, bianchi, senza capelli né barba, sulle loro Vespe e coi vestiti alla moda e il pop e il jazz.

Gli uni portarono la musica ska, gli altri la rasatura completa. E dal loro incontro, dalla condivisione del valore della solidarietà maschile contro i valori “femminilizzanti” della cultura hippy, nacquero gli skinheads, i “crani rasati”. Zero capelli, per contraddistinguersi dai “capelloni”. E per togliere un punto di presa ai poliziotti durante gli inseguimenti...

Sì, perché l'idea di tornare al maschile comprendeva anche una certa dose di aggressività e di violenza. Quanta violenza è difficile dirlo, le versioni e i ricordi sono troppo discordanti.

Negli anni Settanta, due furono gli incontri più importanti: quello con gli ultras, che portarono la passione per il calcio e per le risse da stadio. E quello con i più grandi provocatori che i quartieri poveri dell'Inghilterra abbiano mai visto: i punk. E proprio la musica dei punk - quel rock “sporco”, accelerato, sbraitato – diventerà, dopo esser stata resa più armonica, ripetitiva e pesante, la nuova musica degli skinheads.

Ma intanto gli skinheads, fino ad allora del tutto apolitici, vengono individuati dall'estrema destra inglese come gruppo da indottrinare: provengono dalle classi sociali più povere e su di loro la manfrina dello straniero che porta la miseria in Inghilterra può funzionare. E poco importa che la cultura skin sia nata anche grazie a immigrati neri...

Solo una minoranza abbocca alle lusinghe del Fronte Nazionale, ma è questa minoranza ad attrarre inevitabilmente la stampa: gli skin88, chiamati comunemente naziskin, sono giovani fortemente ideologizzati, che non fanno mistero di rifarsi direttamente al nazismo. E sono giovani estremamente violenti, pestano tutti: immigrati, omosessuali, figli dei fiori, anche gli altri skinheads neri...

La maggioranza degli skin rimane muta, perché “della politica e della stampa chi se ne frega...”. Ed è proprio questo disinteresse, che a tratti diventa odio, a motivare il silenzio degli skin. Così, senza nessuno che parli e che si opponga, la parola skinhead diventa sinonimo di neonazista.

Solo verso la fine degli anni Ottanta la parte non razzista del movimento skin reagisce: nascono gli apolitici Sharp (SkinHeads Agaist Racial Prejudice), skinheads contro il pregiudizio razziale; e i Rash (Red and Anarchist SkinHeads), che abbracciano il comunismo marxista-leninista (redskins, skin rossi) e/o l'anarchismo (blackskin, skin neri). Uno di loro scherza: “La mia mente è marxista, il mio cuore anarchico, il mio cazzo fascista. Il marxismo è una cosa mentale, l'anarchia è un istinto anti-autoritario del cuore. E il fascismo è una cosa del cazzo”.

La maggior parte degli skinheads , tuttavia, si definisce “autentica” o “tradizionale”: fedele alla linea totalmente apolitica delle origini, non vuole compiere alcuna scelta politica, neppure prendere le distanze dal razzismo. Perché, spiegano alcuni, essere contro i razzisti sarebbe esso stesso un atto di razzismo.

SKINHEADS E OMOSESSUALITA'

Uno dei passatempi preferiti dai primi skin (e dagli attuali skin88) era il queer-bashing (“pestaggio del frocio”). E anche oggi l'omofobia è molto diffusa tra gli skinheads. “In Polonia non c'è compatibilità: l'immagine skin è virile” dice un polacco, e la stessa cosa te la ripetono tanti tedeschi, inglesi, italiani, svedesi... E spesso poco conta l'appartenenza alle correnti di sinistra: “Cazzo, è una cosa perversa. Quelli non sono skinheads: si vestono così per avere un'immagine virile. Che schifo, minchia. L'ultima cosa di cui avevo bisogno è un frocio che si veste come me!”.

Ma se sei virile, contrario alla “ideologia gay” e non cerchi solo sesso, anche se ti piacciono i maschietti puoi trovare non pochi skin accoglienti: “Se sei skinhead e sei attratto da un altro maschio, rimani uno skinhead. Una cosa non esclude l'altra. È invece la comunità gay ad essere incompatibile con il mondo skin”.

Ovviamente non mancano neppure gli skinheads omosessuali, che, comunque, condividono con gli altri skin il fastidio per il mondo gay “ufficiale”: “Se mi chiedi se sono gay, ti mentirei a dirti di sì o di no. Non vedo più connessioni tra ciò che me lo fa diventare duro e il tipo di uomo che sono e il modo in cui vivo e guardo il mondo. Quando entro in un bar gay, mi ricordo che loro non sono la mia gente”.

Gli skin omosessuali, che possono essere più sensibili al rifiuto delle posizioni di estrema destra, assumono spesso chiare prese di posizione anti-fasciste, anche aderendo agli Sharp o ai Rash: “Spesso mi sento solo in mezzo a quella gente. Non mi sono mai visto come una contraddizione: sono uno skinhead a cui è capitato di essere omosessuale. Non credo che razzismo, odio, omofobia, nazismo o cose del genere appartengano alla cultura skin”.

FETISH-SKIN

Il senso di estraneità espresso dagli skinheads omosessuali verso il mondo gay diventa totale avversione quando si parla dei fetish-skin (o fashion-skin), cioè di quei gay che adottano il vestiario skinhead solo a fini di feticismo sessuale, infischiandosene di ogni sua connotazione sociale, culturale o politica.

Si sopporta male, ad esempio, la trasformazione di uno stile di vestire orgogliosamente proletario in un mercato di marche costose: “Lo skinhead non è mai stato uno che segue una moda. Non ci sono mai state regole su cosa puoi o non puoi indossare e non c'è spazio per gli snob in una comunità che ha fatto dell'appartenenza alla classe lavoratrice il proprio orgoglio. Ognuno indossa quello che si può permettere”.

I fetish-skin sono spesso accusati dai "veri" skinheads omosessuali di essere ignoranti, cialtroni e irrispettosi: “Per esempio, mi fa incazzare di brutto vedere un gay dall'aspetto skin mettersi i lacci bianchi, senza conoscerne la connotazione fascista [il colore dei lacci degli stivali degli skinheads ha vari significati: il bianco è il colore del white power; ndr]. Anzi, a volte la conosce, ma l'immagine e le idee fasciste o naziste glielo fanno rizzare”. E, in effetti, non mancano i feticisti del nazismo...

Ma più che dal nazismo, spesso il feticista è attratto dall'aspetto mascolino, eterosessuale e proletario degli skinheads e dal loro cameratismo.

Inoltre, l'immagine violenta dello skinhead è molto apprezzata (e diffusa) in ambito sadomaso: “A me piace il sesso rude (molto rude!): sadomaso, pissing, calci, calpestamento e molto altro ancora” elenca un fetish-skin, mentre un altro racconta: “I miei interessi principali sono bondage, controllo del respiro, giochi violenti, gomma, elettricità, fruste, dog play, sesso in pubblico...”. Altri ancora amano mettere in scena finti queer-bashing.

Ma, dal momento che l'oggetto più identificativo dell'identità skinhead sono gli stivali, la pratica sessuale più caratteristica è proprio l'adorazione degli stivali, che consiste principalmente nell'annusarli e leccarli: “Vedo tutti quegli stivaloni che brillano e so che qualcuno li ha adorati e puliti con la lingua. Vorrei leccare anche io gli stivali e pulirli con la mia saliva”.

Anche il mondo della pornografia gay ricorre spesso all'immaginario skin, come fa frequentemente, ad esempio, la casa di produzione tedesca Cazzo. Ma la pellicola forse più significativa è “Skin Flick” di Bruce LaBruce, che gioca in modo ferocemente satirico sugli stereotipi (la scena più famosa è la masturbazione sul Mein Kampf hitleriano): dal film emerge con forza la natura più profonda del fascino skinhead, e cioè un misto di erotismo, violenza e orrore.

Little Prince(ss)

5 commenti:

  1. Bellissimo viaggio attraverso il mondo dettato da questo "stile" se così si può chiamare. Per gli amanti del genere che non disdegnano un filmetto porno ogni tanto consiglio di sbirciare nella filmografia della "Cazzo film"

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  2. Gran bel pezzo, troppo spesso si ignora la vera natura del movimento skinheads, i redskin ecc. e si associa solo a quelle cacchette fasciste il tutto.
    Complimenti, questo è fare non solo informazione ma cultura!

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  3. cose che conoscevo ma che mi destano sempre sorpresa quando le rileggo!

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  4. un bel pezzo, intelligente, leggero (nel senso di calvino) e acuto

    30 maggio 2009 3.41

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Il grande colibrì