Quando il papa vuole imporre la prospettiva religiosa nella dimensione dei diritti umani...

Ha compiuto ieri sessant'anni e si spera che ne possa compiere altri sessanta, altri seicento. E, soprattutto, che possa essere sempre più rispettata. Parlo ovviamente della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Della Dichiarazione ha parlato anche il papa, Benedetto XVI, affermando che essa "costituisce ancora oggi un altissimo punto di riferimento del dialogo interculturale sulla libertà e sui diritti". Un punto di riferimento talmente alto che ancora oggi la Città del Vaticano si rifiuta di sottoscriverla. Pazienza. Delle loro contraddizioni e delle loro ipocrisie ne risponderanno davanti a Dio. Se esiste.

Quello che invece mi preme di più sottolineare è un altro passaggio del discorso papale, secondo il quale i diritti dell'uomo sono "ultimamente fondati in Dio creatore" e "se si prescinde da questa solida base etica, rimangono fragili perché privi di solido fondamento" [Repubblica].

Eh no, queste sì che sono affermazioni pericolose, perché puntano a distruggere la base, il fondamento dei diritti umani. Non voglio lanciare una semplice polemica anti-ecclesiastica, sarebbe proprio una sciocchezza. Ma occorre sottolineare come esistano due prospettive diverse e inconciliabili, quella religiosa, legata al rapporto col divino, e quella mondana, relativa al mondo e alla vita terrena.

Nella prospettiva religiosa monoteistica la divisione tra bene e male è stabilita da Dio, secondo criteri suoi propri, a volte del tutto imperscrutabili. Ad esempio, il dio ebraico-cristiano non tollera che si facciano accoppiare bestie di specie differenti, che si seminino i campi con due specie di semi, che si indossino vesti tessute di due diverse materie (Levitico, 19: 20) e un mucchio di altre cose difficilmente comprensibili. Ma poco importa, è Dio a decidere cosa sia bene e cosa sia male: "Metterete in pratica le mie prescrizioni e osserverete le mie leggi, seguendole. Io sono il Signore, vostro Dio. Osserverete dunque le mie leggi e le mie prescrizioni, mediante le quali, chiunque le metterà in pratica, vivrà. Io sono il Signore" (Levitico, 18: 4-5).

In questa prospettiva, esistono le leggi e le prescrizioni divine, esistono i dieci comandamenti, non esistono diritti: tutto il sistema si basa su doveri sanciti dalla divinità. "Non uccidere", si dice, e "non rubare", ma non "hai diritto alla vita" o "hai diritto alla proprietà". Anche l'undicesimo comandamento cristiano ("Ama il prossimo tuo come te stesso"; Matteo, 19: 19) sancisce un dovere e non un diritto.

Nulla di strano: la prospettiva religiosa si basa sul rapporto tra divinità e essere umano che non è assolutamente un rapporto paritario. L'essere umano non può violare la sfera del divino (già pronunciare il nome di Dio invano è male), mentre la divinità può violare senza problemi la sfera dell'umano (persino spazzare via l'intera umanità, come nel caso del diluvio universale, è bene, dal momento che è deciso da colui che è il bene per definizione).

La prospettiva mondana dei diritti umani è totalmente differente. Non si fonda sui doveri sanciti dalla divinità, ma sui diritti insiti nell'umanità stessa di ogni essere umano. I diritti umani chiedono di essere rispettati non per rispetto a una divinità o per conquistarsi meriti ultraterreni, ma perché "il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo" (Preambolo alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani). Nel mondo, cioè in questo mondo.

Il sistema dei diritti umani, inoltre, si fonda sui diritti e non sui doveri. I doveri traggono il proprio senso solo ed esclusivamente quando siano utili ad "assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri" (art. 29 della Dichiarazione), non sono mai un bene in sé. Un esempio per capire meglio la differenza: pregare è un dovere e un bene nella prospettiva religiosa, mentre in quella dei diritti umani non è un dovere (infatti non è un atto che interferisca positivamente su diritti e libertà altrui) ed è moralmente indifferente; ovviamente, pregare è un diritto (art. 18).

La prospettiva dei diritti umani non vede il rapporto tra un'entità superiore e un'entità inferiore, ma riconosce solo ed esclusivamente il rapporto sempre paritario tra gli esseri umani. Ogni fatto che esca dalla dimensione umana esce anche dalla dimensione dei diritti umani. Ad esempio, il mio diritto alla vita è violato se la mia morte è determinata da un atto (o da una omissione colposa o dolosa) di un'altra persona, non certo se mi cade un fulmine in testa mentre passeggio per un bosco...

Insomma, le due prospettive sono profondamente diverse, perché si collocano su due piani del tutto differenti: quello dell'essere umano e quello del fedele. Facciamo un esempio: il diritto alla vita.

Nella prospettiva dei diritti umani, il diritto alla vita è evidentemente un diritto (vedere l'art. 2, dove il diritto alla vita è significativamente collegato al diritto alla libertà e alla sicurezza) e come tale è inviolabile (nessuno può esserne privato, direttamente o indirettamente, da altri individui) e indisponibile (nessuno può, neppure volontariamente, disporne liberamente, come se fosse una merce). Il diritto, ovviamente, può essere fruito o non fruito, secondo la libera scelta dell'individuo (altrimenti parliamo di obbligo e non di diritto).

Il sedicente "diritto alla vita" difeso dai cattolici non è affatto un diritto, ma un "dovere alla vita". Non serve ricordare le Crociate, o l'Inquisizione, o l'epoca dei conquistadores e il fatto che la Chiesa abbia per secoli violato e disposto dei diritti di individui e finanche di intere popolazioni; basta ricordare il caso Englaro, nel quale Eluana aveva espresso la propria volontà di non fruire di un proprio diritto nel caso si fosse ritrovata in stato vegetativo, ma nel quale la Chiesa, pur parlando di un "diritto alla vita", sancisce un dovere a tenere in vita questa donna, indipendentemente dalla libera scelta individuale della donna.

Al di là di ogni (maliziosa) scelta lessicale ecclesiastica, bisogna riconoscere che alla prospettiva religiosa monoteistica appartengono in primis dei doveri (le leggi e le prescrizioni del Signore, come dice il Levitico) e non dei diritti. Le religioni monoteistiche richiedono obbedienza totale alla divinità, di cui si riconosce l'assoluta supremazia. Rivendicare diritti in questa prospettiva significa semplicemente compiere un peccato di superbia. Sia chiaro: si può condividere o meno la prospettiva religiosa, ma non contestarne la sua legittimità in sé.

Il problema nasce quando la prospettiva religiosa vuole invadere la dimensione mondana per imporle i propri criteri. Come si è visto, interpretare i diritti umani secondo la prospettiva religiosa significa snaturarli completamente, distruggerli. E aprire una guerra feroce per decidere quale religione debba costituire la base interpretativa dei diritti, escludendo di fatto tutte le altre religioni (alla faccia della libertà religiosa stessa, tanto invocata proprio da chi sta cercando di spingere, consapevolmente o meno, verso la realizzazione di questo drammatico scenario).

Ma allora come far convivere dimensione mondana e religiosa? Semplicemente relegando la dimensione religiosa nella sfera della libera scelta individuale (principio di laicità). In tal modo ogni persona mantiene i propri diritti integri e, nel caso in cui riconosca l'esistenza di doveri sanciti da una divinità, potrà decidere di usufruire o meno di tali diritti secondo i precetti divini. Tale decisione, come tutte le decisioni prese nella sfera della libera scelta che non interferiscano negativamente su diritti e libertà altrui, sarà completamente tutelata dal sistema dei diritti umani.

Ovviamente, non è invece ammissibile il tentativo di interferire sulla sfera delle libere scelte altrui, e quindi di negare i diritti altrui. Per il bene di tutti.

Little Prince(ss)

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