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Come vi siete conosciuti?
Ci siamo incontrati a Firenze nel 2005, entrambi studiavamo lì, io mi stavo laureando in storia della fotografia e Luca frequentava il corso di pittura all'Accademia di belle arti. A dirla tutta, ci siamo conosciuti in un cruising club. Il luogo galeotto è stato lo storico Tabasco - dico storico perché è stato il primo locale gay in Italia. All'epoca io organizzavo una serata settimanale che si chiamava "Milked". Una sera che suonavo, Luca si avvicinò alla consolle e si presentò.
Non scopammo in darkroom, ma a casa, dopo alcuni giorni. Ricordo che non avevo lubrificante in casa e allora usammo una crema Nivea per le mani. Eravamo così presi che venimmo in un secondo! Non fu il massimo del romanticismo ma ridemmo parecchio quella notte. Quella con me fu la prima volta di Luca, mentre io ero sicuramente un po' più navigato.
Poi diventammo amici e ci vollero alcuni mesi prima che ci avvicinassimo e decidemmo di stare insieme. D'altra parte c'era una strana forza magnetica tra di noi ed immagino avesse senso che ci mettessimo insieme senza porci troppe domande.
Com'è iniziato il vostro percorso artistico comune?
E' dovuto passare un anno prima che decidessimo di lavorare insieme. Io avevo i miei vari progetti di fotografia, Luca per di più era quello che chiamerei la mia musa: lo fotografavo di continuo. Inoltre in quel periodo lavoravamo entrambi come modelli per vari fotografi o artisti, spesso in coppia, per via del nostro affiatamento e della nostra somiglianza. Volendo essere più autonomi nella nostra rappresentazione decidemmo di produrre da soli le nostre immagini, imponendo un nostro punto di vista e uno stile che si avvicinava di più ai nostri gusti ed alla nostra personalità.
Fu qualcosa di fluido che venne da sé, non ci fu una dichiarazione di intenti o un'idea precisa alla base. Fu naturale convogliare l'energia del nostro rapporto e la nostra creatività in un progetto comune che ci vedeva protagonisti nella scena e nel processo creativo.
Le vostre immagini spesso non ritraggono situazioni reali: prima Luigi scatta la foto di Luca, poi Luca fotografa Luigi, infine le immagini vengono fuse grazie a programmi di elaborazione fotografica, come Photoshop. Quello che vediamo, in fin dei conti, è un incontro erotico fittizio o reale?
La fotografia non ritrae situazioni reali nel momento in cui ricorre all'uso dei set e della posa. Ma mi chiedo cosa davvero contraddistingua il reale dal fittizio al giorno d'oggi...
Quello che accade nella maggioranza delle nostre fotografie è che noi due non ci incontriamo sul set, ma in uno spazio ideale reso tangibile dall'elaborazione digitale. Non siamo che due solitudini che si incontrano e si scindono l'una nell'altra, così nella vita così nella prassi lavorativa. L'incontro in queste immagini è più reale del reale, perché nasce da un'intenzione e da un'idea e per questa sua natura non è soggetto alla casualità del contigente e alle sue scorie. E' qualcosa di distillato e purificato.
Ma l'uso del montaggio non è spesso usato nelle fotografie di forte interazione erotica, come Pissing, Union, Relationship 2... Lì siamo presenti entrambi sul set e abbiamo un'interazione reale e sessuale. Preso dalla curiosità, ho contato le foto dove sono presenti incontri erotici e devo dire che sono 4 opere su 30. Questo ridimensiona un po' le cose.
Nel vostro sito affermate che il vostro lavoro è un'espressione della vostra intimità, eppure chiunque può vedervi nudi, eccitati, mentre avete rapporti sessuali...
Il lato sessuale del nostro progetto non fu mai progettato, ma venne anche quello da sé: ci sembrava normale rappresentarci nella nostra spontaneità... che poi immagino sia la spontaneità di qualsiasi coppia. Non sopportavamo l'ipocrisia di certa fotografia erotica, il gusto direi borghese del "vedo non vedo" o la tattica del suggerire qualcosa che lo spettatore deve immaginarsi da solo, portando a termine il compito dell'immagine con il suo fantasticare indotto. Quest'idea del "c'è ma non si vede" la trovo quasi disonesta e fastidiosamente ammiccante e perversa.
Per quello che vedo, il sesso se è velato si afferma come l'interesse prevalente dell'immagine, dal momento che la mente dello spettatore è spinta verso quell'unico punto e quello non è che il capolinea. A noi non interessa questo tipo di coinvolgimento dello spettatore né tanto meno sventolargli davanti il drappo rosso dell'ambiguità. Paradossalmente, questo modo di intrattenere gli occhi dello spettatore mi sembra volgare. Al contrario, il sesso esplicito e svelato nella rappresentazione costituisce l'inizio di un discorso che - sì - parte dal sesso, ma arriva da un'altra parte.
Nel nostro caso, una poetica onesta non fa gomitino allo spettatore, non ha bisogno di celare l'ovvio e lo scomodo né di stuzzicare l'immaginazione e i fantasmi interiori. La fotografia nella quale ci riconosciamo non vuole evocare, ma descriverci ed affermare. Tuttavia, non vogliamo scadere sul versante opposto, che è rappresentato a mio avviso da quella che ormai è diventata una deriva mainstream inaugurata anni fa da Terry Richardson, nella quale il sesso è ludico, divertente e spensierato, facile e leggero, ammiccando allo spettatore in senso opposto a quello che prima ho chiamato "sessualità borghese". A noi piace trattare la sessualità senza fronzoli, considerandola un fatto serioso, profondamente personale e addirittura politico.
E' questo il principale tratto caratteristico della vostra arte, quindi?
Il sesso o l'omoerotismo - che tra l'altro non sono il centro della nostra poetica me elementi di pari peso con gli altri - sono spesso mostrati in campo fotografico attraverso certe "cornici giustificanti", come se l'artista volesse mettere le mani avanti per rendere il soggetto e le proprie pulsioni più accettabili al pubblico... Non che ci sia nulla di male, ma è una cosa che percepisco guardando alcune immagini.
Ad esempio, Van Gloeden, rifacendosi all'evocazione della classicità greco-romana aveva trovato un'abile scusante artistica per fotografare ragazetti nudi. Ma anche Mapphertorpe innalzava i suoi soggetti "scandalosi" all'accettabilità artistica con il rigore geometrico delle composizioni, con l'uso delle forme sinuose e della profondità, del bianco e nero, anche lui sempre alla ricerca di una classicità statuaria. Mi viene in mente anche l'atteggiamento di un certo "verismo" fotografico dove l'autore usa la fotografia a grado zero limitandosi a mostrare la realtà come si presenta e gli zampilla davanti e a rappresentare la vita ed i suoi fatti senza mediazioni né intenzioni "plasmatrici".
Sono esempi alla rinfusa di alcune modalità attraverso cui molti artisti hanno pensato di filtrare e mostrare le proprie pulsioni, ma, credo, anche di giustificarle agli occhi dello spettatore. Non vorrei sminuire il loro lavoro, che tra l'altro è un nostro punto di riferimento; mi interessa piuttosto notare come si sviluppa il processo rappresentativo quando l'intuizione creativa nasce dalla voglia di mostrare un contenuto esplicitamente sessuale. Questo è quello che avverto quando si parla di pulsioni nella fotografia, ma nello stesso tempo in maniera contraria è come se questi vari approcci piuttosto di edulcorare lo scandaloso dovessero trovare una cornice e uno sguardo originale ed interessante per mostrare qualcosa di tanto banale e scontato quanto il sesso.
Forse quello che mi viene da dire è che nelle nostre foto noi banalizziamo il sesso mostrandolo senza girarci intorno o imbellettandolo, mettendolo così sullo stesso piano degli altri elementi presenti nella rappresentazione. E' per questo che considero le nostre immagini frutto della nostra intimità, perché ci mostriamo nella nostra normalità e banalità di coppia, intenti a parlare di noi e di quello che ci sta a cuore.
Ma allora quale significato date al concetto di intimità? Si può conciliare intimità ed esibizionismo?
L'intimità è quello che unisce le nostre personalità e i nostri corpi, la sintonia che avvertiamo profonda e vera quando siamo vicini, non importa chi guarda o quello che ci riflette. Non credo ci siamo mai posti domande sugli altri, ma solo su di noi, e alla luce di questo non c'è né vergogna né limiti di pudore: ci interessa solo essere onesti e veri e mostrarci e rappresentarci senza quei problemi che a noi del resto non appartengono. Non so se questo vuol dire essere esibizionisti, ma il fine dei nostri lavori non è certo esibire le nostre prodezze o schockare lo spettatore. Piuttosto ogni nostra immagine parla di noi, della nostra condizione di coppia e di duo, ed il sesso è presente come molte altre tematiche.
Da alcune tue opere sembra emergere un gusto quasi necrofilo. Penso alla foto dei cadaveri nudi dei ribelli della Comune di Parigi, indicati come "uno dei miei sogni erotici ricorrenti"... Un collage di volti di soldati morti in Iraq è commentato così: "A volte penso ai bei ragazzi morti... e ai cattivi meccanismi della politica". E' solo una provocazione o volevi rivisitare il mito di Eros e Thanatos?
"We do need others heroes, porn is boring" è un mio lavoro di qualche tempo fa che riflette su quella fascinazione antica che si ha verso gli eroi e gli uomini valorosi. Il sex symbol dell'era pre-mediatica era senz'altro il soldato in divisa, l'uomo che combatteva per gli ideali della patria. Penso ci sia un nesso tra gli ideali per il quale combatteva e si identificava e la sua attrativa sessuale. Quel lavoro riporta questo tipo di fascinazione al contesto contemporaneo per mettere in luce lo scarto tra la politica e gli ideali. Così ho preso le foto dei soldati morti in Iraq che mi piacevano e li ho resi oggetti del mio desiderio, inscenando una fascinazione per l'eroe che però si dimostrava paradossale, e di sicura disapprovazione. Il cortocircuito scatta nel momento in cui non scaturisce nessun sentimento eroico o di ammirazione verso quei ragazzi deceduti sul campo, ma solo pena e compassione perché morti inutilmente per ideali sbagliati e disonesti.
Se dovessi fantasticare su uomini valorosi non saprei proprio a chi pensare, non ne vedo tanti in questo periodo. Non c'è nessuno che possa salvarmi, non c'è nessuno che abbia idee illuminanti. I ribelli della comune di Parigi, invece, lottavano per cause valorose e importanti e questo sicuramente mi fa eccitare come la mondina che incontra il soldato americano liberatore nelle risaie. Decisamente ne posso parlare come un sogno erotico ricorrente. Il fatto che siano morti è abbastanza straniante, ma è più un gioco intellettuale che una parvenza di gusto necrofilo, è più un'attrazione verso l'idea che verso la carne stessa. Alla carne si possono concedere sconti, alle idee un po' meno.
Little Prince(ss)
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vedere la realta che ci circonda e che gestisce i nostri comportamenti è difficile, talvolta impossibile se non si ha quel setting mentale per comprenderle.
RispondiEliminaqueste foto mostrano i fili che sottendono e gestiscono molti dei nostri atteggiamenti. sono occhiali particolari che mostrano in una stanza i fili laser del nostro agire.
Fabio Pellegatta
22 maggio 2009 11.34
queste foto non rappresentano niente di buono, solita produzione pseudointellettuale dove se non c'è un culo non è arte - vanno bene per quelli che hanno il cervello settato su cazzi e culi
RispondiElimina23 maggio 2009 14.33
come fotografo trovo il loro lavoro decisamente interessante con interni in bianco e nero che più o meno inconsapevolmente attingono alle scene di francesca woodman, con un certo onirismo allucinato e violento che mette a nudo più i desideri estremi che il reale ed in tal senso si legge bene pure la pulsione necrofila che pochi hanno il coraggio di affrontare.
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