Società, scienza e tecnologia evolvono insieme lungo sentieri inesplorati, indefiniti, imponderabili. Tante porte vengono aperte, tante altre rimangono chiuse, per scelta, per sbaglio o per caso. Per questo il filone fantascientifico delle ucronie (cioè di quegli universi paralleli nati da sviluppi storici in realtà mai avvenuti) ha un grande interesse non solo per immaginare le mirabolanti invenzioni di un mondo che in realtà non è mai nato, ma anche per esplorare quali diversi equilibri società, scienza e tecnologia avrebbero potuto generare e quindi riflettere, nel bene e nel male, sulla nostra realtà.
Uscito ieri nelle edicole di alcune città italiane e in arrivo solo domani in quelle del resto del Paese, "Greystorm", l'ultimo lavoro della Sergio Bonelli Editore, ideato da Antonio Serra (uno dei creatori di Nathan Never) e da Gianmauro Cozzi, racconta l'universo ucronico di Robert Greystorm, inventore dell'Inghilterra di fine Ottocento geniale e fantasioso, ma esaltato dai propri progetti tecnologici spregiudicatamente ambiziosi fino al fanatismo, al cinismo, alla perdita di ogni senso di umanità.
Ben diverso appare il suo unico e ricco amico, Jason Howard, sensibile, delicato e innamorato di una bella contadina. Jason sembra destinato a giocare il ruolo della spalla e del contraltare di Robert: pur soggiogato dal fascino e dal carisma di Greystorm, Howard probabilmente cercherà di difendere una visione della scienza meno ambiziosa, ma più pronta ad accettare regole e limiti, in quanto non si pone come fine di se stessa, ma come strumento per il benessere umano. Insomma, una contrapposizione che, come l'ambientazione, ricorda lo strabiliante film di animazione "Steamboy" di Katsuhiro Otomo.
D'altra parte le ucronie e lo steampunk (il genere narrativo che racconta storie ambientate in un'Inghilterra ottocentesca in cui la forza del vapore permette di realizzare quello che in realtà sarebbe stato creato solo decenni dopo grazie all'energia elettrica) sono filoni già esplorati, ma che hanno ancora molto da raccontare. E allora non sorprende che il fascino di queste narrazioni perse tra il passato ed il futuro faccia presa su un pubblico sempre più vasto.
Fondamentale è ovviamente l'ambientazione, da curare con uno spirito perfezionista sin nei minimi dettagli: tutto deve apparire come qualcosa che non è accaduto, ma che avrebbe potuto plausibilmente accadere. Per questo una discrepanza come quella di far chiedere a un personaggio di utilizzare il "tu" invece del "voi" (ma se sono inglesi non dovrebbero usare sempre "you"?) altrove lascerebbe del tutto indifferenti, mentre in "Greystorm" fa storcere un po' il naso...
Chiariamolo subito: quello citato è solo un piccolo passo falso in una mini-serie a fumetti che promette bene, grazie all'ottima qualità di sceneggiatura, disegni e grafica. Certo, in un genere così particolare i potenziali ostacoli narrativi sono innumerevoli e solo con i prossimi numeri potremo capire davvero come gli autori sapranno districarsi. Se lo faranno bene, sapranno riempirci di stupore. E di quella strana nostalgia che ti assale a pensare a un mondo possibile che non c'è stato mai e che pure ti sembra di aver perso per sempre...
Little Prince(ss)
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