"Bareback" di Paul Vecchiali: il regista amato da Pasolini racconta il sesso senza preservativo

Pochi mesi prima di essere assassinato, Pier Paolo Pasolini, scrittore e poeta, ma anche autore di indiscussi capolavori cinematografici, chiese a un regista corso di 8 anni più giovane di lui di insegnargli il mestiere di cineasta. Quel regista era Paul Vecchiali, esponente interessantissimo del cinema di ricerca francese, sperimentatore di vari generi stilistici, il quale, sin dagli anni Settanta, ha affrontato tematiche complesse e tabù come l'omosessualità, la pena di morte, la pornografia, la sessualità infantile, la prostituzione...

Tra questi temi va ricordato anche quello dell'Aids, affrontato con il film "Once More - Encore" (una delle sue poche opere diffuse anche nelle sale italiane). Era il 1987, sei anni prima di "Philadelphia" di Jonathan Demme e de "Le notti selvagge" di Cyril Collard, e, sebbene la malattia stesse già sconvolgendo la comunità omosessuale, il cinema ne aveva parlato ancora poco.

Vecchiali è tornato sul tema nel 2005, a 75 anni, con il film "Bareback ou la guerre des sens", girato in soli 4 giorni con un budget ridottissimo. E' la storia, sempre in bilico tra realtà e finzione, di un orso che racconta la propria vita al regista preferito: tradito dal partner, pensa al suicidio, ma l'amore di un barebacker brasiliano lo salverà; quando però il nuovo compagno scopre di essere sieropositivo, l'orso lo uccide, anche se successivamente scoprirà di non essere stato contagiato.

Il film, che non è stato distribuito neppure nelle sale francesi, è stato presentato dal Torino GLBT Film Festival quattro anni fa e verrà riproposto a Bologna (domenica 9 maggio, ore 19, Teatri di Vita, via Emilia Ponente 485) nell'ambito della rassegna "Ipotesi d'amore". Un'occasione interessante per conoscere un regista che in Italia è purtroppo molto meno noto di quanto meriterebbe.

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Pamplemousse (Pompelmo), il protagonista del film, si salva grazie all'amore di un barebacker. E alla fine ad uccidere non è né il sesso bareback né l'Aids, ma la paura dell'Aids...

Mi scusi, ma in quello che dice mi sembra che lei ometta un aspetto particolare del film "Bareback ou la guerre des sens". Il fan del regista sta dicendo la verità? E quando la dice? Tutto quello che dice potrebbe essere invece solo una fantasia finalizzata a suscitare l'interesse del regista, perfino a sedurlo.


E allora, secondo lei, che cos'è il barebacking?

Io il barebacking non lo consiglierei, anche se sono troppo vecchio e ho vissuto il sesso in anni nei quali il problema non si poneva neppure: credo di aver indossato un preservativo solo una volta in tutta la vita. Comunque il bareback potrebbe essere dovuto al fatto che i sieronegativi colpevolizzano i sieropositivi. Se mi deve succedere, dopo tutto, perché non subito, per trovarmi al pari con coloro che soffrono. E poi conta anche - e questo è il caso del film e il motivo per cui la scena d'amore è così lunga - la fiducia che si stabilisce con la tenerezza, con le carezze, e che, in fin dei conti, fa dimenticare le precauzioni.


Nella nostra inchiesta abbiamo visto come i barebackers americani vogliono creare comunità, per vincere la solitudine e sfuggire agli stereotipi gay, dando vita ad una vera e propria ideologia. In Italia, invece, a praticare il sesso bareback sono uomini poco informati sulla trasmissione del virus Hiv o alla ricerca della "porcaggine estrema". E in Francia?

Mi è impossibile rispondere a questa domanda, dal momento che ho perso tutti i contatti con l'ambiente. Potrei solo ripetere quanto detto nella risposta precedente.


Con questo film lei come regista racconta l'amore, la malattia, la paura, senza tabù. Nel film, invece, il regista che lei interpreta rifiuta di fare tutto ciò. Insomma, il cinema è ancora uno strumento capace di raccontare il mondo, anche nei suoi aspetti più ambigui, provocatori e forti?

Sì. Ma solo se l'ambiguità è presente e, ancora meglio, se è presente in una forma ludica. Il che vuol dire non prendersi sul serio, ma parlare seriamente delle cose.


La comunità gay è accusata di imborghesirsi sempre più...

I gay non lo fanno più dei non gay (e vorrei precisare che secondo me sono gli atti ad essere omo o eterosessuali, non le persone). L'imborghesimento è un fenomeno evolutivo classico e provvisorio.


Ma il movimento gay lotta per il matrimonio e per l'accettazione sociale, mentre si dimentica della rivoluzione sessuale, della libertà dei costumi, dell'autodeterminazione delle persone. E allora, è ancora utile alla società o ha esaurito la propria funzione rivoluzionaria?

La funzione rivoluzionaria non si limita a queste rivendicazioni che io rispetto, ma che trovo personalmente un po' infantili. Che due uomini o due donne crescano dei bambini mi sembra una cosa talmente ovvia e praticabile che mi chiedo come si possa rifiutarla. Basta osservare i problemi che al giorno d'oggi vengono posti dall'educazione dei figli delle coppie cosiddette "eterosessuali" per capire come la natura del rapporto non sia in nessun caso determinante.


Little Prince(ss)

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