Barbara Pezzini: "La sentenza sui matrimoni gay: alcune aperture, ma manca l'uguaglianza"

La sentenza della Corte Costituzionale sui matrimoni tra persone dello stesso sesso ha aperto un dibattito acceso all'interno del movimento *qtlgb: c'è chi, come l'Associazione Radicale Certi Diritti, continua a voler lottare per questo diritto, cercando la strada per allargare gli spiragli presenti nella sentenza; e c'è chi invece enfatizza le chiusure e va ripetendo, magari sfregandosi le mani: "Ve lo avevo detto, meglio combattere per i Dico o i Didoré!". I primi dimostrano maggiore coerenza, mentre i secondi a volte hanno interessi politici personali da tutelare... ma non basta certo questo a determinare chi abbia davvero ragione!

Per capire meglio la situazione e dare giudizi giuridicamente fondati ci siamo rivolti a Barbara Pezzini, docente di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Bergamo, grande esperta di pari opportunità e curatrice del volume "Tra famiglie, matrimoni e unioni di fatto. Un itinerario di ricerca plurale" (Jovene, 2009), per il quale ha anche redatto il saggio "Uguaglianza e matrimonio. Considerazioni sui rapporti di genere e sul paradigma eterosessuale nel matrimonio secondo la Costituzione italiana".

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Dopo la sentenza della Corte costituzionale sui matrimoni gay nella comunità *qtlgb il dibattito si è nuovamente acceso: da una parte c'è chi legge nella sentenza importanti aperture, dall'altra c'è chi enfatizza gli aspetti negativi... Insomma, la sentenza stabilisce o no il diritto al riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso?

La sentenza 138/2010 della Corte costituzionale è una sentenza con luci e ombre, con aperture, ma anche con ambiguità e contraddizioni, e certamente questo spiega le critiche, anche severe, che le sono state rivolte.

Riconoscere criticamente che la Corte avrebbe potuto e dovuto far di più e meglio nel difendere l’uguaglianza, però, non autorizza a sottovalutare che in questa sentenza vengono, per la prima volta, riconosciute esplicitamente le unioni omosessuali come formazioni sociali costituzionalmente tutelate e viene affermato chiaramente, di conseguenza, il diritto fondamentale non solo di vivere liberamente una condizione di coppia con altra persona dello stesso sesso, ma di ottenerne il riconoscimento giuridico.

Nonostante le ambiguità che nella sentenza accompagnano questo riconoscimento, si tratta di un’affermazione importante: un diritto fondamentale fondato sull’articolo 2 della Costituzione, che gode degli attributi connessi di inviolabilità, assolutezza, indisponibilità; un diritto soggettivo che ha come contenuto la possibilità di conformare liberamente una formazione sociale adeguata e corrispondente al proprio orientamento affettivo e sessuale.


Nella sentenza si legge che questo riconoscimento "necessariamente postula una disciplina di carattere generale": cosa significa?

La sentenza indica, con estrema chiarezza, che il riconoscimento giuridico che spetta alla stabile convivenza same-sex non è affatto generico o indefinito, bensì necessariamente postula una “disciplina di carattere generale: questo significa che solo quando esisterà nell’ordinamento una disciplina generale finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia il diritto fondamentale avrà ricevuto un’adeguata tutela.

Questa disciplina generale potrebbe assumere forme diverse – e qui entra in gioco la discrezionalità del legislatore, i suoi margini di apprezzamento - ma deve garantire riconoscimento e tutela delle posizioni soggettive dei partner nei rapporti reciproci e nei rapporti della coppia con il mondo esterno.


Quindi non è vero che la Corte chiude per sempre alla possibilità di riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso...

Da una lettura attenta della sentenza si ricava che il matrimonio omosessuale è una possibilità perfettamente compatibile con la Costituzione e con il suo articolo 29: l’apertura alle coppie same-sex non può, secondo la lettura assai prudente della Corte, farsi direttamente con una sentenza additiva, ma può essere fatta dal legislatore modificando il codice civile, proprio perché il matrimonio e la famiglia non sono “cristallizzati” - la sentenza lo dice chiaramente! -, ma sono istituti che vivono e mutano nel tempo secondo le trasformazioni della società.


Ma ha senso che la Corte riconosca l'esistenza di un diritto, riconosca che tale diritto viene violato dal quadro normativo attuale... e poi non faccia nulla di concreto per sanare tale violazione?

Si tratta di una situazione per certi versi paradossale, ma conosciuta e ricorrente nella giurisprudenza costituzionale. Pur riconoscendo che esiste nell’ordinamento una situazione (in particolare, una omissione, un vuoto legislativo) in contrasto con una norma o un principio costituzionale, la Corte costituzionale ritiene di non poter sostituire il legislatore nel formulare direttamente regole di condotta che garantiscano l’attuazione della norma costituzionale: questo perché ci sarebbero, secondo la Corte, modalità e strade differenti per garantire l’attuazione del diritto, fra le quali - nel sistema costituzionale della divisione dei poteri - il giudice costituzionale non sarebbe direttamente autorizzato a scegliere, ma solo il legislatore lo potrebbe fare.

Il paradosso sta nel fatto che la situazione di contrasto con la costituzione viene rilevata, ma “lasciata in sospeso”, affidandone la risoluzione ad un futuro senza garanzie e ad una volontà politica incerta. L’apertura di credito al legislatore ed alla sua capacità di rimediare alle situazioni di inadeguata garanzia dei diritti non è, però, necessariamente anche infinita.


E allora parliamo del legislatore: cosa potrà e dovrà fare in base a questa sentenza?

Il legislatore ha il chiaro dovere di predisporre una disciplina di carattere generale capace di garantire i diritti e doveri dei partner di una convivenza omosessuale, seguendo, come sembra suggerire la Corte, uno dei modelli conosciuti nel panorama internazionale: matrimonio same-sex; unioni registrate; patti di convivenza, purché non a rilevanza puramente privatistica, interna alla coppia. Deve garantire riconoscimento e tutela alle unioni omosessuali, che rappresentano un contenuto del diritto costituzionale fondamentale al libero sviluppo della persona umana, garantito dall’articolo 2 della Costituzione.


Il legislatore avrà pure questi doveri, ma dubito che farà qualcosa...

Su ciò che il legislatore farà effettivamente a breve termine sono piuttosto pessimista anch'io: il legislatore ha già ampiamente dimostrato la propria riluttanza ad affrontare il tema delle unioni di fatto e mi pare che non si tratti di un’incapacità riconducibile a contingenze della politica, ma di un dato strutturale del “bipolarismo all’italiana”, fortemente ideologizzato, che rende impossibile trattare ragionevolmente temi ad alto tasso di “trasversalità”, come tutte le questioni di genere.


Insomma, dobbiamo attenderci, in caso di probabile silenzio del Parlamento, altre sentenze della Corte, magari più "avanzate"?

La Corte ha affermato esplicitamente - direi addirittura che ha “rivendicato” - la sua possibilità di intervenire ulteriormente, innanzitutto a tutela di specifiche situazioni, come già è avvenuto per le convivenze more uxorio eterosessuali, indicando una sorta di percorso “incrementale” volto al riconoscimento di singoli diritti e garanzie.

La possibilità di ulteriori pronunce più avanzate, certo non nell’immediato, è poi aperta, secondo quanto già osservato, dalla necessità di garantire il diritto fondamentale che è stato riconosciuto nel suo contenuto di “disciplina generale”: per cui il riconoscimento diretto, ad opera della giurisprudenza costituzionale, di singoli diritti o l’estensione di specifici effetti analoghi a quelli di cui godono i coniugi uniti in matrimonio anticipa una tutela, ma non basta, perché non soddisfa pienamente il diritto riconosciuto dalla sentenza 138, per il quale è necessaria una disciplina complessiva, di carattere generale.

La Corte, che pure oggi non ha voluto (e forse ha ritenuto di non poter) prendere atto dell’inerzia del legislatore rimediando ad un deficit di tutela (che, in realtà, già oggi è pienamente leggibile), ha in sostanza costruito tutte le premesse per decidere diversamente almeno domani se l’assenza – completa - o il difetto di regolamentazione dovesse permanere.


Concediamoci un attimo di ottimismo e immaginiamo che il Parlamento istituisca i Pacs o altre forme, diverse dal matrimonio, di riconoscimento legale delle coppie omosessuali. In questo caso, che pure appare molto improbabile per le ragioni che lei ha illustrato, non sarebbe comunque violata la pretesa soggettiva all'uguaglianza?




Personalmente, ritengo che la sottovalutazione della questione sotto il profilo dell’uguaglianza sia il principale limite e difetto della sentenza 138: in una prospettiva che assuma l’uguaglianza e la pari dignità delle persone in senso forte, sul piano delle posizioni giuridiche soggettive - come, a mio avviso, la Carta costituzionale ci impone di fare -, essendo il matrimonio l’istituto giuridico che garantisce alle coppie eterosessuali “una disciplina generale dei diritti e doveri dei partner della coppia”, resta il modello di riferimento anche per le unioni omosessuali.

Detto altrimenti, il trattamento giuridico del soggetto eterosessuale nell’ambito di una relazione di coppia eterosessuale non può essere negato al soggetto omosessuale nell’ambito di una relazione di coppia omosessuale, a meno che non emerga l’obiettiva dimostrazione della assoluta necessità di diversificare per garantire la tutela di altro diritto costituzionalmente rilevante, la cui tutela risulterebbe altrimenti pregiudicata... il che, personalmente, mi sembra difficile, anzi impossibile, da dimostrare!


In genere l'orientamento sessuale viene ricondotto nell'ambito delle "condizioni personali" citate dall'articolo 3 della Costituzione come motivo non valido di discriminazione giuridica. Lei invece preferisce ricondurlo al sesso: come mai?

Personalmente ritengo indispensabile inquadrare il tema dell’omosessualità all’interno del rapporto tra sesso e genere (io stessa ho incrociato, nel corso dei miei studi, la questione del matrimonio same-sex a partire dall’analisi di genere della costituzione italiana e delle sue norme sulla famiglia e il matrimonio): se, infatti, il genere definisce i ruoli sociali, la posizione, le aspettative socialmente associate e connesse all’appartenenza all’uno o all’altro sesso, non è difficile vedere come proprio l’aspettativa di una proiezione affettiva e sessuale verso il sesso opposto (il paradigma eterosessuale) costituisca uno dei contenuti più radicati delle regole di genere; l’omosessualità mette in discussione il fatto che l’aspettativa sociale di dualismo e complementarietà tra maschile e femminile sia la regola fondativa ed essenziale nella costruzione del genere.

E proprio per questo si tratta di una questione che interroga l’uguaglianza: le norme pertinenti a definire la condizione del soggetto omosessuale sono, innanzitutto, le norme che garantiscono la pari dignità sociale di tutte le persone e l’uguaglianza senza distinzioni di sesso.

Vero è che anche il parametro delle condizioni personali, in cui la maggior parte della dottrina e la stessa normativa europea (direttive antidiscriminazione) inquadrano l’orientamento sessuale - affettivo e sessuale -, agisce pretendendo l’uguaglianza in modi analoghi; tuttavia, oltre ad inquadrare più convincentemente il contesto in cui le norme agiscono (norme rivolte alla “costruzione giuridica” di genere, sesso e sessualità), l’uguaglianza dal punto di vista di sesso e genere offre maggiori strumenti anche giuridici e logiche più stringenti, mentre l’ambito delle “condizioni personali” lascia inevitabilmente al legislatore margini di apprezzamento discrezionale più ampi.


Little Prince(ss)

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1 commento:

  1. Quindi, se ho capito bene, l'ingiustizia ed il pregiudizio continuano a camminare di pari passo.

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Il grande colibrì