Fuori dalle gabbie: WARBEAR contro l'identità bear strumento di marketing del mercato gay

Non aspettatevi paroline dolci o concilianti da uno che ha come nome d'arte - anzi, come nome di battaglia - WARBEAR, tutte le lettere urlate in maiuscolo, una dopo l'altra, senza perdere fiato. WARBEAR, o se preferite Francesco Macarone Palmieri, interviene nel confronto sulla cultura bear che abbiamo inaugurato con Les K. Wright e continuato con Orsi Italiani e con Perdido e certo fa casino. Parecchio casino. Ma è inutile commentare, sotto potete leggere voi quello che ha da dire.

Qualche parola, invece, vale la pena di spenderla per presentare questo studioso e artista eclettico. WARBEAR è un antropologo sociale che si occupa di gender e queer studies, sessualità e pornografia (potete ad esempio leggere il suo saggio "21st Century Schizoid Bear: Masculine Transitions Through Net Pornography" in "C'lickme", libro molto interessante e liberamente scaricabile). Come attivista queer, ha fondato E.U.RO. Epicentro Ursino Romano, gruppo dallo slogan eloquente: "Uguali a nessuno".

WARBEAR è anche un artista poliedrico, che spazia dalla musica al cinema, dall'arte contemporanea all'organizzazione di eventi culturali. Il titolo di alcune delle sue performance, come "Write me like you love me/Fuck me like you hate me" (Scrivimi come se mi amassi / Fottimi come se mi odiassi) o "Anus is an open scar" (L'ano è una cicatrice aperta), possono dare un'idea di quello che vi aspetta tra qualche riga. Siete ancora in tempo a chiudere gli occhi - e a non leggere, non capire, non aprire le gabbie...

Little Prince(ss)

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C'è un luogo comune che serpeggia nel movimento gay occidentale dagli anni '80 ad oggi. Tale inesattezza riguarda l'omomascolinità e come essa viene rappresentata nella subcultura degli orsi. Il falso storico vuole che l'orso sia un uomo che fa della sua naturale mascolinità - composta da pelo, barba e pancia - il punto di rottura rispetto ai panorami gay dominanti. Questo articolo vuole decostruirne il senso evidenziando, in una prospettiva di genere e queer, quanto la naturalità sia una categoria artificiale e di potere.

Per rendere il quadro chiaro dobbiamo tracciare la storia del concetto di orso. La comunità ursina nasce negli Stati Uniti all'incirca 30 anni fa, affermando un desiderio di mascolinità nuova che superasse gli stereotipi leather/sm e la sedimentazione dei modelli prodotti da 15 anni di movimento gay, dove lo stereotipo estetico dominante era rappresentato da un'estetica giovanilistica ed androgina.

La non-appartenenza si fece matematica insiemistica, raccogliendo tutti coloro che non riuscivano ad integrarsi e che vivevano ai margini di ogni spazio sociale - dalle feste disco della New York anni '70 ai bar gay, passando per i sex party leather. La comunità ursina nacque così, simbolizzando l'icona dell'orso come animale nordamericano che unisce forza e dolcezza in una dialettica di liberazione.

Dopo decadi di storia fatta di ricchezza umana, social club, feste, riviste e meeting internazionali, oggi l'identità ursina è ben lontana dall'essere quello spazio integrativo ed indipendente che rappresentava. Lontana dalla nostalgia di un libero passato, la stereotipizzazione dei linguaggi ha prodotto l'ennesima identità funzionale al mercato gay dove il confine tra chi sta dentro e chi sta fuori, il giusto modo di apparire, vivere e comportarsi, diventa un banale strumento di marketing.

Basta prendere una persona qualsiasi di genere maschile (biologica o meno), metterle una camicetta a quadretti, jeans Charrart e anfibi Caterpillar, gilet e bracciale di pelle opzionali, farle crescere la barba, farle tatuare una zampa d'orso su un braccio e farla ingrassare un pò. Ecco a voi un “Mac Bear”; un bell'orso preconfezionato pronto ad essere carburante per la macchina-mercato dell'entertainment ursino.

Ancora, prendete dei cool hunters, metteteli sulla scena e fate odorare loro la stanchezza di tale proposta. Ecco a voi la costruzione di un nuovo stereotipo. L'orso che pretende di innovare i linguaggi. Colui che si veste con le t-shirt cool, che ascolta Indie o elettronica, che va ai concerti o a ballare e scopre le droghe, che fa il Fotografo-Dj-Vj-Regista o peggio l'Artista o comunque il Creativo, che guarda il resto del mondo con sufficienza come espressione della sua stessa debolezza.

Un'altra bella nicchia di mercato pronta per essere lanciata, dove nulla realmente cambia se non il potere di definire antropologicamente dei modelli ed usarli per strategie di inclusione/esclusione.

Ad oggi, l'Italia e Roma sono appestate da questo tanfo che, in termini di trasformazione dell'esistente, nulla produce se non sedimentazione di poteri gay oppressivi, banali interessi personalistici e gentrificazione esistenziale. Ma non dormite sonni tranquilli ché tra spleen e ideal la rivolta ruggisce. E' l'irriducibile piacere dell'agguato, pronto a sfamare il desiderio sublime di animali che bestemmiano il regno dei cieli.

WARBEAR

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