In viaggio per un figlio - La mamma è sempre la mamma. Anche quando raddoppia (2° parte)

Dove eravamo rimasti...
* 1° parte - Due mamme tenaci

GIUSI, CRISTINA E LUISA

Dormi figlio che domani ce ne andremo
sambadi sambadiò
con la nave il mondo attraverseremo
sambadi sambadiò
(Sambadiò, Pippo Pollina)

Giusi ha 43 anni, la sua compagna Cristina 40, la loro bambina Luisa sei, mentre ne ha solo due il cane, che si chiama Odie come il beagle dei fumetti di Garfield. Giusi insegna, Cristina fa l’impiegata, Luisa va a scuola, mentre Odie… beh, non pensate che sia sempre così facile stare dietro ad una bambina di due anni!

Giusi e Cristina, siete una famiglia? “”. Ma la legge italiana dice di no e non vi riconosce (e quindi non vi tutela) né come coppia né come madri… “Non è certo un pezzo di carta in più che ci certifica che siamo una famiglia, ma è assurdo: lavoriamo, paghiamo le tasse, votiamo, ma ci è negato il diritto fondamentale di essere riconosciute come famiglia!”.

Eh sì, perché Giusi e Cristina, con la loro piccola Luisa, hanno avuto la sfortuna di essere nate in Italia e di abitare nella “modernissima” Lombardia. “I nostri politici, sia di sinistra che di destra, non hanno mai fatto niente per noi. E non sembrano intenzionati a farlo…”.

E così hanno deciso di andar via. Anche perché, nonostante finora non ci siano stati particolari episodi di omofobia, l’inizio della scuola della piccola fa un po’ paura: “I bambini possono essere crudeli, soprattutto se supportati da genitori ‘ignoranti’, nel senso che ignorano la nostra situazione”.

E così Giusi e Cristina a maggio si sposeranno in Spagna, paese dove hanno intenzione di andare a vivere: “Lo facciamo principalmente perché nostra figlia sia tutelata, cosa che qui in Italia è impossibile. In Spagna Luisa sarà adottata dalla madre non biologica in modo che non abbia problemi nel caso una delle due venisse a mancare”. Sì, perché il matrimonio sarà pure un pezzo di carta, ma porta con sé diritti. “E poi pensiamo che, dopo dieci anni che ami una persona, sia la logica conclusione, indipendentemente dall’orientamento sessuale”.

Giusi, Cristina e Luisa. Chiamatele pure come volete: emigranti, esuli, fuggiasche... Ma per prima cosa chiamatele “famiglia”.


SILVIA E CATIA

Dormi figlio che presto la notte è fonda
sambadi sambadiò
e la luna in cielo non è ancora rotonda
sambadi sambadiò
(Sambadiò, Pippo Pollina)

Silvia e Catia, impiegate in una grande società di telecomunicazioni del napoletano, sono semplicemente “due persone che si sono innamorate come succede ogni giorno a milioni di persone”.

Forse però si sono innamorate nel paese sbagliato, visto che l’Italia è uno dei pochi membri dell’Unione Europea a non prevedere alcuna forma di riconoscimento giuridico per le unioni omosessuali: “Per lo Stato noi coppie omosessuali siamo famiglie fantasma. Dobbiamo condividere ogni giorno con una completa mancanza di tutela e di sicurezza. Ad esempio, nel caso di morte del compagno la famiglia d'origine ha diritto a ereditare tutto ciò che era del figlio, compresa l'eventuale parte della casa, del conto corrente, dell’autovettura o di qualsiasi altra cosa, anche se acquistata insieme, dividendo spese e sacrifici. E poi se una di noi dovesse subire un incidente e rimanere incosciente sarebbe informata solo la famiglia d'origine che avrebbe il diritto completo di decidere sulle visite, sulle cure e sull’assistenza”.

In questo quadro difficile, Silvia e Catia, grazie anche al sostegno dell’associazione Famiglie Arcobaleno, hanno comunque deciso di affrontare il percorso della genitorialità. Un percorso difficile: “Io sarò per lo Stato una ragazza madre e quindi la mia compagna non avrà nessun diritto sul nascituro, nonostante l’amore e l'impegno morale ed economico, e dovrà vivere costantemente con l'incubo che mi possa capitare qualcosa. In quel caso la mia famiglia di origine avrebbe priorità sul bambino, anche nel caso non ci parlassi o non la vedessi da anni”. Ma non occorre pensare solo alle tragedie: “In caso di nostra separazione, potrei decidere di non farle vedere più il bambino e lei non potrebbe fare nulla”.

Sono queste le angosce e le paure con cui convivono tante famiglie omosessuali, soprattutto quelle in cui ci sono bambini.

Andrò a partorire con il testamento sotto braccio e sperando che tutto vada bene”: una frase terribile, ma normale nell’Italia del 2009. Per questo Silvia e Catia lanciano un appello: “Spesso le persone danno per scontati i diritti di cui godono e continuano a chiedersi il motivo delle nostre battaglie. A queste persone chiederei di fermarsi un momento a riflettere e provare almeno per una volta a guardare attraverso i nostri occhi”.


I prossimi capitoli:
* 3° parte - Famiglie Arcobaleno
* 4° parte - Mi toglieranno mio figlio?

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