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* Dialoghi Hiv-correlati tra la vita e la vita
Non so come si chiamino quei due ragazzi - lui un po' skin, lei un po' punk - che ho incrociato davanti all'edicola della stazione di Genova Pegli, poco dopo Natale. Non gliel'ho chiesto, nonostante l'impulso fosse forte. Condividere un nome, un cognome, quattro parole: nulla di fronte all'intimità che oggi ci lega - noi, ancora e per sempre sconosciuti - grazie a quell'albo di Dylan Dog che avevano appena comprato.
Io quell'albo lo avevo già letto - e riletto e ancora sfogliato e ancora riempito di ammirazione e dolore e ricordo e dell'esultanza della vita - sui treni che mi avevano portato lì, ad incrociare quei due ragazzi in quella stazione. Per chiedere loro il nome, illudermi di condividere qualcosa con loro, essere certo che in un dopo indefinito (quando l'avranno letto?) avremmo vissuto la stessa grande esperienza di vita. Per strappargli quel fumetto di mano: "Ma cazzo, siete sicuri? Siete pronti?". Per non fare nulla, alla fine, come era prevedibile.
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Chi l'ha letto l'ha definito senza esitazioni "capolavoro". Anche chi non ha mai attraversato certe stanze. Anche chi, spesso gli stessi di prima, ha ammesso di non averlo "percepito" fino in fondo. E ci si pente di aver usato altre volte, per abitudine un po' sciocca e per quel fondo di leccaculaggine che non ci abbandona mai, la parola "capolavoro" per cose ben lontane dall'esserlo.
Certo, chi deve sparare puttanate per obbligo professionale non potrà concordare mai [Corriere]. Ma pazienza, sono gli stessi che della malattia, di Nostra Signora Mater Morbi non sanno un cazzo - e non ne vogliono sapere un cazzo. Perché altrimenti la smetterebbero subito di riproporre i loro tagli alla sanità e alla ricerca scientifica, le loro giustificazioni alle briciolette scarse destinate ai paesi più poveri. La smetterebbero subito di ribadire i loro divieti sadici sulla cannabis terapeutica o sulle cellule staminali.
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Ma torniamo a "Mater Morbi". Ci torniamo con Roberto Recchioni, sceneggiatore ben conosciuto dagli amanti del fumetto italiano (suoi John Doe e Detective Dante). Lo abbiamo intervistato per discutere con lui le sue interessantissime riflessioni sul tema della malattia.
* * *
Abbiamo voluto aprire questo ciclo di interviste dedicate all'Aids con una riflessione generale sulla malattia. "Gli esseri umani sono creature bizzarre e certe volte amano le cose più impensate... Persino la sofferenza e la morte hanno i loro estimatori. Ma la malattia... quella non piace a nessuno" dice Dylan Dog in "Mater Morbi". Cos'ha di così terribile e indicibile la malattia che nulla, neppure la morte e la tortura, sembrano possedere agli occhi della gente?
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"La salute è tutto" e "La salute prima di tutto"... Come a dire: "La malattia toglie tutto" e "Non c'è nulla di peggio della malattia". Così ci esprimiamo spesso. Anche un personaggio della tua storia ci va giù pesante: "L'identità è la prima cosa che lei ti strappa via... Poi ti toglie la dignità e alla fine si prende la tua stessa vita". Ma davvero la malattia ha sempre il potere inevitabile e ineluttabile di distruggere tutto? O a ciò contribuisce l'atteggiamento sociale che, nel rapportarsi alla persona malata, enfatizza la malattia a scapito di ogni altra cosa?
Non è solo l'atteggiamento della società. E' anche l'atteggiamento del malato. Spesso essere malati diventa un'esperienza totalizzante. La malattia, di colpo, diventa il senso della nostra vita e ci definisce. "Cosa sei? Sono un malato". La malattia risponde a tutte le domande. Ci solleva da ogni responsabilità. Ci pone al di fuori di tutta una serie di pressioni. La malattia può diventare un nido, fatto di rovi acuminati certo, ma pur sempre un nido.
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Sì, proprio per il discorso che ti facevo prima: la malattia ha una sua, mostruosa, suadenza.
Credi che il senso di vivere una malattia, con una malattia e nonostante una malattia - e quindi anche la tua sceneggiatura - possa essere capito davvero da chi non ha mai vissuto davvero la malattia?
Non pienamente.
I personaggi della tua storia non si chiedono mai "perché?". Eppure il "perché" ("perché mi sono ammalato? perché proprio io? perché in questo modo?"), è spesso l'ossessione di chi è malato...
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Vorrei farti una domanda anche sul tema della nostra inchiesta, l'Aids. Perché, secondo te, questa malattia è spesso considerata dalla società in modo diverso dalle altre?
Per le sue connotazioni, per la disinformazione che è stata fatta, per la strumentalizzazione che ha subito, è ovvio che sia percepita in maniera diversa. Del resto, passato l'isterismo iniziale, attualmente l'Aids viene raccontato come una malattia che sì, esiste ancora, ma che non verrà mai a mordere il culo alla "brava gente" e quindi non è una cosa preoccupante. In fondo chi uccide? Gente lontana (e negra), drogati e froci... a "noi" non ci riguarda. Fino a quando, magari, ci riguarda. E allora ci chiediamo "perché a me?".
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"Mater Morbi" può essere richiesto sul sito della Sergio Bonelli o tramite le modalità indicate nella seconda di copertina dell'albo in edicola.
Little Prince(ss)
Le altre interviste dell'inchiesta:
* Andrea Savarino e la ricerca per eradicare l'Hiv
* Niccky e l'Hiv come stimolo a vivere col sorriso
* Adriatico, Corbelli e il sesso confuso nell'era dell'Aids
Ti interessano l'Hiv/Aids e le MST? Segui questo ___fil rose___!
Leggi anche:
* Robert Greystorm, lo scienziato a fumetti ambizioso e fanatico che... cambierà il passato!
* Dylan Dog ed il re delle mosche: con Belzebù l'indagatore dell'incubo torna alla vita
lo prenderò.
RispondiEliminagià letto ^^ mio padre li compra tutti e quando torno a casa da Bergen li trovo impilati ad aspettarmi :D
RispondiEliminainteressantissimo il tema; a volte i Dylan Dog "sociali", nonostante le buone intenzioni, sono noiosi e buonisti (ho detestato Johnny Freak), ma altre ci prendono proprio... questo "mater morbi" è eccellente (e ti ricordi "caccia alle streghe"? ancora meglio)
Letta anch'io! In effetti è interessante come nei nostri due blog vengono affrontati due punti di vista differenti..( Intervista su DDComics )
RispondiEliminaAlla prox, ciao!