Roberto Recchioni e il totalitarismo di Mater Morbi - La malattia e i suoi nemici (1° parte)

L'introduzione all'inchiesta:
* Dialoghi Hiv-correlati tra la vita e la vita

Non so come si chiamino quei due ragazzi - lui un po' skin, lei un po' punk - che ho incrociato davanti all'edicola della stazione di Genova Pegli, poco dopo Natale. Non gliel'ho chiesto, nonostante l'impulso fosse forte. Condividere un nome, un cognome, quattro parole: nulla di fronte all'intimità che oggi ci lega - noi, ancora e per sempre sconosciuti - grazie a quell'albo di Dylan Dog che avevano appena comprato.

Io quell'albo lo avevo già letto - e riletto e ancora sfogliato e ancora riempito di ammirazione e dolore e ricordo e dell'esultanza della vita - sui treni che mi avevano portato lì, ad incrociare quei due ragazzi in quella stazione. Per chiedere loro il nome, illudermi di condividere qualcosa con loro, essere certo che in un dopo indefinito (quando l'avranno letto?) avremmo vissuto la stessa grande esperienza di vita. Per strappargli quel fumetto di mano: "Ma cazzo, siete sicuri? Siete pronti?". Per non fare nulla, alla fine, come era prevedibile.

No, non mi faccio di strane sostanze e non soffro - almeno non credo - di allucinazioni. Il fatto è quei ragazzi avevano in mano un vero e proprio capolavoro: "Mater Morbi", albo numero 280 di Dylan Dog. Disegni eccellenti, nere ferite non ancora cicatrizzate di Massimo Carnevale. Sceneggiatura tecnicamente perfetta, di rarissimo coraggio e di ancor più rara franchezza di Roberto Recchioni.

Chi l'ha letto l'ha definito senza esitazioni "capolavoro". Anche chi non ha mai attraversato certe stanze. Anche chi, spesso gli stessi di prima, ha ammesso di non averlo "percepito" fino in fondo. E ci si pente di aver usato altre volte, per abitudine un po' sciocca e per quel fondo di leccaculaggine che non ci abbandona mai, la parola "capolavoro" per cose ben lontane dall'esserlo.

Certo, chi deve sparare puttanate per obbligo professionale non potrà concordare mai [Corriere]. Ma pazienza, sono gli stessi che della malattia, di Nostra Signora Mater Morbi non sanno un cazzo - e non ne vogliono sapere un cazzo. Perché altrimenti la smetterebbero subito di riproporre i loro tagli alla sanità e alla ricerca scientifica, le loro giustificazioni alle briciolette scarse destinate ai paesi più poveri. La smetterebbero subito di ribadire i loro divieti sadici sulla cannabis terapeutica o sulle cellule staminali.

D'altra parte sono gli stessi che passano la vita a monetizzare i voti porporati, convinti di aver già iniziato a vivere il tempo dell'eternità beata - un'eternità così asettica e inodore, però, da puzzare di ignavia -, un tempo lontano da quello del malato, scandito sì da visite e ricoveri e pillole e iniezioni e crisi e riabilitazioni... ma soprattutto da emozioni, paure, gioie, nostalgie, amori... e da quella dignità che le lacrime di coccodrillo dei bigotti vorrebbero negare. Un tempo che dovrebbe essere gestito a partire dalle esigenze fisiche, psicologiche e morali del malato, interpretate dal medico, e non in base al pregiudizio del politico.

Ma torniamo a "Mater Morbi". Ci torniamo con Roberto Recchioni, sceneggiatore ben conosciuto dagli amanti del fumetto italiano (suoi John Doe e Detective Dante). Lo abbiamo intervistato per discutere con lui le sue interessantissime riflessioni sul tema della malattia.

* * *

Abbiamo voluto aprire questo ciclo di interviste dedicate all'Aids con una riflessione generale sulla malattia. "Gli esseri umani sono creature bizzarre e certe volte amano le cose più impensate... Persino la sofferenza e la morte hanno i loro estimatori. Ma la malattia... quella non piace a nessuno" dice Dylan Dog in "Mater Morbi". Cos'ha di così terribile e indicibile la malattia che nulla, neppure la morte e la tortura, sembrano possedere agli occhi della gente?

Io credo che il primo problema sia atavico. In ognuno di noi si cela un cervello animale che tende a isolare l'esemplare malato, ad allontanarlo dal branco. E' normale, per molti versi anche giusto. E' un processo comprensibile che possiamo combattere solo razionalizzando. A tutto questo poi, si aggiunge una cultura che tende a celare la malattia, a tenercela nascosta e che, quando ce la mostra, lo fa in maniera romanzata, lontanissima dalla realtà. La malattia raccontata dalla finzione non puzza, non sanguina, non vomita. Perché la malattia (quella vera) respinge, è un delitto capitale nei meccanismi consumistici.


"La salute è tutto" e "La salute prima di tutto"... Come a dire: "La malattia toglie tutto" e "Non c'è nulla di peggio della malattia". Così ci esprimiamo spesso. Anche un personaggio della tua storia ci va giù pesante: "L'identità è la prima cosa che lei ti strappa via... Poi ti toglie la dignità e alla fine si prende la tua stessa vita". Ma davvero la malattia ha sempre il potere inevitabile e ineluttabile di distruggere tutto? O a ciò contribuisce l'atteggiamento sociale che, nel rapportarsi alla persona malata, enfatizza la malattia a scapito di ogni altra cosa?

Non è solo l'atteggiamento della società. E' anche l'atteggiamento del malato. Spesso essere malati diventa un'esperienza totalizzante. La malattia, di colpo, diventa il senso della nostra vita e ci definisce. "Cosa sei? Sono un malato". La malattia risponde a tutte le domande. Ci solleva da ogni responsabilità. Ci pone al di fuori di tutta una serie di pressioni. La malattia può diventare un nido, fatto di rovi acuminati certo, ma pur sempre un nido.


Mater Morbi nella tua storia è una bellissima donna, da cui non scappare, con cui anzi fare l'amore...

Sì, proprio per il discorso che ti facevo prima: la malattia ha una sua, mostruosa, suadenza.


Credi che il senso di vivere una malattia, con una malattia e nonostante una malattia - e quindi anche la tua sceneggiatura - possa essere capito davvero da chi non ha mai vissuto davvero la malattia?

Non pienamente.


I personaggi della tua storia non si chiedono mai "perché?". Eppure il "perché" ("perché mi sono ammalato? perché proprio io? perché in questo modo?"), è spesso l'ossessione di chi è malato...

Sono abbastanza convinto che la domanda "perché a me?" sia figlia del fatto che siamo nati nella parte grassa del mondo. Ho i miei dubbi che se fossimo nati, chessò, in Africa, circondati da bambini che ogni giorno si ammalano, ci porremmo la stessa domanda. In sostanza, io credo che siamo così abituati al benessere, da aver scordato che "la merda capita" a tutti, senza grosse distinzioni. Non abbiamo nulla di speciale: oggi tocca a me come domani può toccare a te. La malattia è piuttosto democratica, in questo. La cura, invece, tende a prediligere le classi abbienti.


Vorrei farti una domanda anche sul tema della nostra inchiesta, l'Aids. Perché, secondo te, questa malattia è spesso considerata dalla società in modo diverso dalle altre?

Per le sue connotazioni, per la disinformazione che è stata fatta, per la strumentalizzazione che ha subito, è ovvio che sia percepita in maniera diversa. Del resto, passato l'isterismo iniziale, attualmente l'Aids viene raccontato come una malattia che sì, esiste ancora, ma che non verrà mai a mordere il culo alla "brava gente" e quindi non è una cosa preoccupante. In fondo chi uccide? Gente lontana (e negra), drogati e froci... a "noi" non ci riguarda. Fino a quando, magari, ci riguarda. E allora ci chiediamo "perché a me?".

* * *

"Mater Morbi" può essere richiesto sul sito della Sergio Bonelli o tramite le modalità indicate nella seconda di copertina dell'albo in edicola.

Little Prince(ss)

Le altre interviste dell'inchiesta:
* Andrea Savarino e la ricerca per eradicare l'Hiv
* Niccky e l'Hiv come stimolo a vivere col sorriso
* Adriatico, Corbelli e il sesso confuso nell'era dell'Aids

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Leggi anche:
* Robert Greystorm, lo scienziato a fumetti ambizioso e fanatico che... cambierà il passato!
* Dylan Dog ed il re delle mosche: con Belzebù l'indagatore dell'incubo torna alla vita

3 commenti:

  1. già letto ^^ mio padre li compra tutti e quando torno a casa da Bergen li trovo impilati ad aspettarmi :D

    interessantissimo il tema; a volte i Dylan Dog "sociali", nonostante le buone intenzioni, sono noiosi e buonisti (ho detestato Johnny Freak), ma altre ci prendono proprio... questo "mater morbi" è eccellente (e ti ricordi "caccia alle streghe"? ancora meglio)

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  2. Letta anch'io! In effetti è interessante come nei nostri due blog vengono affrontati due punti di vista differenti..( Intervista su DDComics )

    Alla prox, ciao!

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Il grande colibrì