"Fratellanza - Brotherhood" di Nicolo Donato: la minestra riscaldata dell'amore gay tra naziskin

Il protagonista (questa volta si chiama Lars ed è interpretato da Thure Lindhardt) entra in un gruppo di sbandati ed emarginati (questa volta sono naziskin), inizia una storia d'amore impossibile con il ragazzo che inizialmente più lo avversava (questa volta è David Dencik nei panni di Jimmy), abbandona il gruppo, ritorna, progetta il riscatto per sé e il suo innamorato, ma - guarda te che inaspettata sorpresa! - proprio all'ultimo minuto qualcosa va storto e si arriva al tragico finale (che ha almeno il pregio di denunciare come la follia della violenza e dell'odio non abbia solo un colore o solo un odore).

Questa, in sintesi, la storia raccontata da "Fratellanza - Brotherhood" di Nicolo Donato, regista danese di origini italiane. La pellicola è osannata ed acclamata, ha anche vinto il premio come miglior film al Festival del cinema di Roma 2009. La trama è la stessa vista e rivista in chissà quanti film da festival del cinema gay, si sono sostituiti solo i vari ladruncoli, eroinomani, prostituti, vandali e sbandati di svariata natura delle vecchie storie con i naziskin di questa, e subito i critici cinematografici si sono sperticati in lodi per un film che, dicono loro, sarebbe originale e rifuggerebbe gli stereotipi.

E' un film crudo, duro, diretto, senza fronzoli, dicono i critici. E questo è innegabile: i fronzoli mancano del tutto, ma sembra mancare anche la sostanza. Non basta pigliare due personaggi abbastanza silenti e sbatterli in un luogo desolato per arrivare al cuore di chissà quale verità. Perché se a volte il silenzio dice più cose di mille parole, altre volte il silenzio semplicemente tace, magari perché ha poco da dire...

Come hanno poco da dire i personaggi, piuttosto inconsistenti e vaghi: Lars agisce semplicemente a caso (ah, è disorientato, è vero!), gli altri sono semplici funzioni narrative (il nazi che si scopre gay, il fratello drogato e invidioso, l'anziano ideologo, i giovani neonazisti che non fanno davvero altro che bere birra e pestare immigrati e omosessuali - ma il film rifugge gli stereotipi, dicono i critici...). Gli attori non sono male (anche se il doppiaggio di cattiva qualità non aiuta), però è anche vero che non viene richiesto loro nessuno sforzo particolare.

Donato, insomma, ha fatto un film che è una buona operazione di marketing. Infatti i casi estremi, le tinte forti, i finali aperti mandano in visibilio i critici e spesso anche gli spettatori, tutti colti dalla sindrome da vestiti nuovi dell'imperatore: pur di non apparire tonti o insensibili, ci si affanna a lodare qualità inesistenti. Forse allora è il caso di dirlo: "Brotherhood" è un film senza profondità, senza capacità di analisi né psicologica né sociale, che nulla spiega e nulla chiarifica, dove "il neonazismo è solo un pretesto diciamo letterario, come poteva un tempo essere la guerra tra Capuleti e Montecchi" (parole dello stesso regista...).

Il neonazismo come semplice pretesto si consuma in un accenno all'indottrinamento ideologico (due slogan raffazzonati e "leggiti il Mein Kampf per entrare nel gruppo"), in due secondi di musica nazi, in qualche pestaggio di froci e pakistani, in uno stare insieme che, però, sembra limitarsi all'occupare lo stesso spazio (più un "fare presenza" che un "fare gruppo"). Ma il film rifugge gli stereotipi, dicono i critici, che però dovrebbero spiegare come mai questi gruppi abbiano un fascino così forte, per quanto perverso, tra molti giovani: in "Brotherhood" il gruppo è solo noia.

Il neonazismo è un semplice pretesto ed è un peccato. Perché se l'amore contrastato è in sé un genere da cui hanno ormai munto tutto il mungibile (e solo con idee geniali ormai si riesce ad estrarne del latte commestibile), il rapporto tra neonazismo e omosessualità potrebbe offrire ancora spunti di grandissimo fascino.

Ad esempio, un tema molto interessante sarebbe il rapporto tra un sentimento omosessuale che pretende di esprimersi e un'ideologia che nega dignità a questo sentimento. In modo ben poco realistico, Lars e Jimmy finiscono uno nelle braccia dell'altro senza grosse difficoltà e già il loro primo approccio sessuale è un susseguirsi di baci in bocca e dolci abbracci, con tenerezza troppo immediata e spontanea per essere credibile, soprattutto da parte di chi fino al giorno prima aveva come hobby il queer bashing (il pestaggio dei finocchi) e anche il giorno dopo ci tiene a precisare che i froci fanno proprio schifo.

La volontà del regista, su questo punto, è chiara: si vuole mostrare la contraddizione tra l'esperienza umana e l'ideologia nazista, per arrivare a mettere a nudo la follia dell'ideologia. Peccato che, se la contraddizione nei gruppi degli skin88 (il nome corretto dei naziskin) c'è, è forte e non riguarda solo il rapporto con l'omosessualità, nella realtà questa contraddizione viene affrontata non con una sorta di "doppia morale alla cattolica" (nello stile "è una cosa sbagliata, ma la faccio lo stesso e chiusa lì"), ma attraverso un continuo e schizofrenico tentativo di conciliare tutto, soprattutto l'inconciliabile.

Il nazista omosessuale che abbiamo intervistato tempo fa ne era un ottimo esempio, con il suo tentativo di far quadrare in qualche modo il dogma della superiorità eterosessuale con la propria necessità di non sprofondare troppo in basso nella gerarchia della razza umana. Altri negano l'esistenza dell'omosessualità in sé o nei propri camerati trasformando, almeno nelle parole e nei pensieri, il desiderio gay in culto del corpo maschile, in virile condivisione della corporalità, in riproposizione dei gloriosi modelli dell'esercito spartano...

Insomma, nella realtà dei gruppi giovanili di estrema destra non si nega tout court la contraddizione chiudendo gli occhi, ma si cerca di autoconvincersi, con labirintici e ideologici castelli in aria, che la contraddizione apparente non sia contraddizione sostanziale. E questo fenomeno è certamente molto più interessante, per capire tanto la mente umana quanto la natura delle ideologie, della triste e noiosa doppia morale.

Facciamo un salto allora nelle discussioni avviate sui forum neonazisti a proposito proprio di questo film ("la solita cazzata antinazista prodotta e diretta dal solito ebreo pederasta antirazzista"): l'omosessualità è in contrasto con lo spirito degli skin 88, però poi "In mezzo a tanti maschi qualcuno si infila sempre", "Può capitare qualche caso in un ambiente maschile, come sulle navi, ma non siamo tutti froci", "Anche la Chiesa in teoria non dovrebbe accettare i gay eppure è noto che è piena di gay repressi", "Una volta ne ho conosciuto uno" e alla fine "Basta che vogliono prendere in quel posto solo il cazzo bianco"...

C'è chi accusa i "liberali" di essere contro la destra estrema a causa della sua ideologia anti-omosessuale, per poi però utilizzare, attraverso lo stereotipo del naziskin come gay represso, proprio l'omosessualità per denigrare il neonazismo: gli skin88 puntano il dito - e con argomentazione tutt'altro che campata per aria - contro l'omofobia dei benpensanti... e il cortocircuito è completo.

Una discussione finisce addirittura con questo scambio di battute: "Non è la prima volta che spari cazzate che fanno girare i coglioni e non poco! Ma sarai mica gay visto che li difendi?"; "Non sono gay. E modera il linguaggio. Sei triviale e scurrile. Comunque onde evitare ulteriori polemiche e litigi chiudo anche quest'altra discussione. Un avviso: evitate di postare altre discussioni inerenti l'omosessualità. Se le beccherò, io ve le cancellerò subito".

Basta approfondire un po', cercare di capire chi siano davvero gli skin 88, rifuggire gli stereotipi nati all'esterno di questo movimento, ma anche individuare gli stereotipi nati al suo interno. Il film non lo fa quasi mai (se non nell'azzeccatissima scena sulla birra biologica, che può apparire surreale, ma racconta invece in modo realistico l'evoluzione "ecologista" e "salutista" di una parte dell'estrema destra). Il neonazismo in "Brotherhood" è solo un "pretesto diciamo letterario" per fare un film senza sostanza, ma soprattutto per fare facile scandalo e fare così botteghino.

Little Prince(ss)

Leggi anche:
* La difficile vita degli skinheads gay, tra pregiudizi, omofobia e feticismi fashion...
* Nazismi gay? - Inchiesta in 4 parti + intro
* Nazirock di Claudio Lazzaro

5 commenti:

  1. Mercoledì ci vado.
    E lo guarderò forse da un'ottica diversa anche grazie a queste tue riflessioni.
    Vedremo cosa ne uscirà fuori...

    RispondiElimina
  2. @ Lord:
    Facci sapere tu cosa ne pensi, allora!

    RispondiElimina
  3. Il film è bello, mi ha emozionato, l'ho trovato molto verosimile. Non sono gay, né nazi, né critico di cinema. Forse faccio parte della maggioranza a cui il messaggio è diretto.

    RispondiElimina
  4. ma no,il film è buono e cattura l'ascolto.

    RispondiElimina
  5. Il film come i personaggi principali non sono affatto inconsistenti. E' un film molto bello e l'immagine metaforica di una casa appartata da ricostruire come nido dell'amore è alquanto geniale e brillante. A mio avviso l'interpretazione dei due ragazzi è notevole, l'unica nota dolente a mio avviso è il mancato approfondimento delle regaioni valide che spingono il gruppo neonazista.

    RispondiElimina

Il grande colibrì