Le deportazioni non cambiano mai: gli eritrei respinti in Libia, gli interessi elettorali in Italia

E' rasserenante vedere come certe cose non cambino mai. Il sole sorge all'alba e cala al tramonto, la forza di gravità spinge le cose verso il basso e le deportazioni di massa avvengono sempre allo stesso modo: donne uomini e bambini ammassati in vagoni metallici, senza aria né luce, senza acqua né cibo, con i vestiti laceri o senza vestiti, con la puzza del sangue del piscio della merda e della paura, con la memoria e la prospettiva di bastonate, manganellate, stupri, degradazioni a non finire.

Certo, cambiano le vittime e cambiano le motivazioni che dobbiamo inventarci per giustificare tutto questo. Gli ebrei son passati di moda (non del tutto, ma vabbè), con i loro nasi sporgenti, la loro natura di strozzini e la loro voglia di rubarci le ostie per fare riti strani. Ora al mercato della paura e della sicurezza sono quotati gli eritrei: nasi schiacciati da africani, natura di violentatori da negri e voglia di farci tutti musulmani (e se Wikipedia dice che sono per metà cristiani mente di sicuro).

Per il resto è tutto uguale: in Italia abbiamo i nostri bei campi di concentramento e poi esportiamo la parte più consistente del lavoro all'estero. La popolazione può tranquillamente fare finta di non sapere nulla, evitare di farsi domande, evitare di darsi risposte, prepararsi a dire domani: "Io non c'ero, non ho visto, non ho sentito nulla, tutta colpa del Grande Fratello ipnotizzatore, certo non mia".

E sarà pure l'era di Internet, delle notizie che girano senza barriere, ma, quando alle persone e ai mezzi di comunicazione più importanti di certe cose non gliene frega niente, le notizie possono girare o stare ferme, tanto non cambia un cazzo.

O meglio, cambia solo quel che deve cambiare. Tipo il fatto che i lavori forzati non li facciamo più fare nei lager, ma direttamente nei nostri campi, nei nostri cantieri e nelle nostre fabbrichette, sfruttando l'invenzione del reato di clandestinità che rende tutti gli schiavi prigionieri senza doverli per forza rinchiudere tra quattro mura o tra quattro barriere di filo spinato. E' un innovazione importante perché aumenta l'efficienza nella distribuzione dei fattori produttivi sul territorio. Libera circolazione delle merci, potremmo chiamarla.

Poi qualcuno rompe ancora i coglioni e cerca di dare voce ai deportati, magari con qualche articolo sul ventinovesimo quotidiano in ordine di diffusione [l'Unità]. Vogliono pure lanciare un appello ("Io, [nome e cognome] sono convinto che un Paese civile non possa essere complice di un crimine contro l'umanità. Fermate il massacro dei prigionieri eritrei in Libia") da inviare al Ministro dell'Interno. Illusi: non si sono accorti che in questo paese non si può neppure chiamare un genocidio col suo nome?

Little Prince(ss)

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4 commenti:

  1. come i morti sul lavoro o in carcere, nessuno ne parla. io ci dedicherei tre minuti di tg al giorno, tutti i giorni, e inchieste... invece ci becchiamo il polpo che predice le vittorie ai mondiali.

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  2. Il fatto è che gli italiani ormai non si fanno più domande, ed una è propri questa: come mai il nostro presidente va tutti i fine settimana a trovare il caro colonnello che negli anni ottanta era considerato un terrorista e adesso caso strano è amico di tutti e un fautore della pace e dell'integrazione tra l'occidente e l'oriente?

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  3. ma dove vorresti arrivare ?
    a portare in italia il miliardo e passa di africani ?
    e dove li metteremmo ?
    ora arrivano a migliaia, poi saranno centinaia di migliaia, poi milioni e alla fine che facciamo ? tutti in piedi perchè non ci sarebbe neanche più un metro quadrato per sedersi ?

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  4. L’Italia è al primo posto tra i Paesi industrializzati in quanto a lavoro nero, un fenomeno che riguarda in particolare le economie domestiche, il settore delle pulizie, il turismo, l’edilizia e soprattutto l’agricoltura.
    Cresce inoltre anche la quota di lavoratori, regolarmente assunti, ma generalmente precari tenuti in scacco da contratti a tempo, verso cui vengono poste in essere pratiche al limite della regolarità: mancato rispetto dei contratti collettivi, doppia busta paga, dichiarazione numero di ore o giornate inferiori a quelle realmente svolte.Bisogna denunciare pubblicamente le violenze e la repressione che caratterizzano la quotidianità dei migranti e contrastare il peggioramento della loro situazione. Un peggioramento dettato non solo dalle condizioni di reclusione e dai soprusi che essi vivono giorno per giorno, ma anche dall’indifferenza popolare che ormai circonda lo straniero. Infatti, essendo divenuto normale il fatto di leggere sui giornali di entrate clandestine, richiedenti d’asilo picchiati e arrestati e costi economici legati al loro mantenimento, il migrante viene trasformato in oggetto pubblico da dibattito, un nodo da sciogliere, un problema di carattere economico e securitario, in difesa della tanto sbandierata integrità nazionale e del patriottismo, e non un semplice essere umano. L’immigrato ritorna in mente solamente quando bisogna trovare un colpevole, una figura da mettere alla gogna per fingere di risolvere dei problemi che trovano le cause nei salotti del potere economico e politico.Manca il lavoro? Colpa dell’immigrato e non del padrone che cerca manodopera a basso costo, sfruttando situazioni di precarietà e necessità?Spaccio nelle strade? Colpa dell’immigrato o di chi impone ritmi frenetici che portano sempre più persone a far uso di cocaina ( o psicofarmaci) per non crollare? O di chi punta il dito sullo “spacciatore di turno” ma volutamente chiude gli occhi sulla clientela locale ingranaggio fondamentale?Risse nel centro di registrazione? Colpa dell’immigrato o di chi rinchiude centinaia di persone di provenienza e culture diverse, con l’unica accusa di non possedere un permesso valido?Non è nostro interesse fare del migrante un quadro dipinto con vittimismo o innocentismo, ma non siamo neanche così stupidi da cadere nel populismo dilagante e puntare il dito sull'“ultimo” anello di una catena molto lunga. A chi popola le stanze del potere non piacerebbe che si risalisse a monte, indirizzando la rabbia e il malessere sociale verso le reali cause, infatti essi riescono a mantenere le loro “prestigiose” cariche e i loro guadagni solamente continuando a burattinare e aizzare le “guerre tra poveri”, distogliendo così l’attenzione delle masse dal reale problema. E’ ora di smascherare e riconoscere il reale problema colpendolo a fondo. Nel parlare di migranti presenti alle nostre latitudini li si accusa di varie colpe, senza mai pero’ tenere in considerazione che le situazioni (povertà, guerre,…) da cui loro scappano, sono finanziate, costruite e imposte dai vari tentacoli del capitalismo. E’ questo che bombarda popolazioni in medio oriente, crea disastri ambientali in Africa costringendo intere popolazioni alla fame pur di prosciugare i pozzi petroliferi, o si espande cercando nuove terre da colonizzare economicamente, sfruttando la povertà del paese e il basso costo della manovalanza locale. Lo stesso che alle nostre latitudini protegge i suoi ingranaggi con allarmismi sociali e guerre tra poveri.

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Il grande colibrì