Ora si riformerà pure la Costituzione (quella che, per adesso, ha ancora la "c" maiuscola): l'iniziativa economica privata dovrà essere liberata da lacci e lacciuoli, a partire da tutte quelle pappardelle sull'utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana. Formule da cancellare, poco importa se dietro quelle formule ci sia la vita dei cittadini - e anche dei cittadini diversamente abili. D'altra parte è da anni che il sostegno nelle scuole è tagliato con l'accetta perché i soldi vanno investiti in qualcosa di più produttivo, no? Da qui alla retorica di inizio Novecento sui "mangiatori inutili" il passo non sembra così grande...
Non è certo un caso che l'ultima volta che i tg hanno parlato di aiuti alle persone diversamente abili era per pubblicizzare l'ennesima crociata contro i falsi invalidi lanciata da Brunetta: l'idea che continua ad essere trasmessa è quella secondo cui questi aiuti sono un spreco di risorse pubbliche - peggio: sono soldi dati a truffatori. Intorno alla V Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 68 del 1999 sul cosiddetto "collocamento obbligatorio", invece, non si è sentito suono di fanfare. Anzi, c'è stato un assoluto silenzio sui mass media.
Proviamo a rompere questo silenzio intorno a un documento da cui emergono dati davvero drammatici con Nina Daita, responsabile nazionale Cgil sui temi della disabilità, da anni in prima fila in Europa, tanto nella Confederazione Europea dei Sindacati quanto nella Commissione europea, sui temi della giustizia sociale e del riconoscimento della parità di diritti per le persone diversamente abili.
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Prima di entrare nel dettaglio della V Relazione sullo stato di attuazione della legge 69 del 1999, proviamo a sintetizzare cosa prevede questa legge?
La legge 68 del 1999 rappresenta la generalizzazione di esperienze di collocamento "mirato" della persona con disabilità nel lavoro - cioè di un collocamento in cui, in sintesi, si vuole collocare la persona giusta al posto giusto. Si tratta di una modalità di inserimento nuova, che ha superato la vecchia normativa basata su una logica burocratico-impositiva.
L'articolo 1 della legge definisce gli aventi diritto al collocamento obbligatorio, fissando i limiti del grado di invalidità che ne determina il diritto all'assunzione. Le aziende obbligate ad assumere sono tutte le aziende, pubbliche e private, che occupino più di 15 lavoratori. Gli articoli successivi forniscono indicazioni sulla modalità di funzionamento della legge, ma vorrei evidenziare, in particolare, gli articoli 11, 12 e 12bis che prevedono lo strumento delle convenzioni per la realizzazione del collocamento mirato.
Ci tengo a sottolineare che queste competenze furono delegate alle Regioni sin dal 1979, ma, purtroppo, sono state poco utilizzate se non proprio nemmeno prese in considerazione. A conferma di ciò, come rileva la Relazione al Parlamento, in molte province (organi deputati alla gestione della legge 68 del 1999) non sono stati ancora attivati servizi idonei al collocamento mirato, anche se è stato evidenziato un miglioramento rispetto alle relazioni precedenti.
Il procedimento di inserimento come si avvia?
Semplificando molto, abbiamo due fasi. La prima fase consiste nella verifica da parte di una commissione socio-sanitaria integrata con esperti degli operatori dei servizi di inserimento lavorativo (normalmente sono operatori pubblici della ASL) che attraverso l’analisi e l’identificazione delle residue capacità del soggetto ne ottimizzi le potenzialità attraverso corsi di formazione. Nella seconda fase, si elabora una scheda di sintesi delle raggiunte capacità del lavoratore, con relativo progetto di proposta all’azienda finalizzata all’inserimento definitivo nel ciclo di produzione normale.
Le aziende che non rispettano l'obbligo di legge possono essere sanzionate?
La legge prevede sanzioni davvero deterrenti e inasprite (circa 50 euro pro capite e pro die), ma, per la verità, queste sanzioni vengono comminate raramente, a causa della quasi totale assenza di controllo da parte degli organi competenti. Sono previsti incentivi e benefici maggiori, invece, per le aziende che assumono disabili con difficoltà intellettive.
Torniamo allora alla Relazione, che presenta dati allarmanti e drammatici, come denuncia la Cgil: il collocamento al lavoro per le persone diversamente abili è crollato addirittura del 34% in appena due anni!
L'ultima Relazione al Parlamento riporta dati soprattutto quantitativi, mentre sono pochi gli elementi dai quali dedurre se lo spirito della legge 68 del 1999, con l'elemento qualificante in essa contenuto, vale a dire il collocamento mirato, sia stato realizzato. Detto questo, e dato per scontato che la crisi economica ha ridotto l'occupazione ordinaria (si parla di 300mila posti persi nel 2009, senza calcolare le migliaia di lavoratori in cassa integrazione), è del tutto evidente che anche il collocamento obbligatorio abbia subito lo stesso trend.
Ci sono però alcuni dati particolarmente preoccupanti. La Relazione, ad esempio, evidenzia come per la prima volta l'utilizzo di contratti a tempo determinato superi le assunzioni a tempo indeterminato anche per i disabili disoccupati, creando ulteriori problemi al lavoratore con difficoltà.
Usando un termine freddo e tecnicistico, il disabile, in particolare quello grave o psichico, può essere considerato un tipo di manodopera con un utilizzo "meno elastico", dal momento che è una persona che necessita di maggior tempo per integrarsi compiutamente nel ciclo produttivo e per organizzarsi logisticamente per rendere meno faticoso il tragitto per raggiungere il luogo di lavoro.
Inoltre, è rilevante sotto l'aspetto umano il fatto che, dopo tanto penare per raggiungere uno standard adeguato di rendimento sul lavoro, essere licenziati e ricominciare da capo spesso rappresenta un grave regresso sociale e psicologico, compromettendo il lavoro, che richiede anni, per rendere il disabile una persona cosciente di sé come individuo.
Dalla Relazione non emerge alcun dato positivo?
La Relazione evidenzia un aspetto importante, una tendenza in controcorrente: ci sono casi in cui la perdita di posti di lavoro e il tipo di avviamenti risultano meno negativi rispetto al resto d'Italia. Mi riferisco alle regioni dell'Italia centrale, in particolare a Emilia Romagna, Toscana e Umbria. Le ragioni di questa controtendenza, probabilmente, sono da ricercarsi nella struttura produttiva di queste regioni, ma anche nella presenza di servizi pubblici deputati all'orientamento, alla formazione e all'inserimento lavorativo: non credo che questa sia una coincidenza!
Intanto, tra promesse di liberazione dai vincoli solidali e fanfare intorno alla "piaga" dei falsi invalidi, tra tagli al sostegno nelle scuole e crisi dell'inserimento mirato, trionfa la retorica della "produttività", fatta propria dal governo, da parte dell'opposizione e persino di alcuni sindacati...
I mass media e molti politici, quando parlano di "produttività", dovrebbero degnarsi di spiegarci per sommi capi in cosa consiste questa "produttività", altrimenti potrebbe passare la convinzione che per produttività s'intende lavorare di più e più intensamente. Ricordo che con le parole si esprimono concetti che se non chiariti possono mistificarne il senso: in sintesi, mutuando il titolo di un libro scritto da Carlo Levi, "le parole sono pietre" e si dovrebbe riflettere di più sull'uso che si fa nel quotidiano delle parole, in primis da parte di chi ricopre un ruolo pubblico.
Invece cosa significhi "produttività" lo ha brevemente chiarito il governatore della Banca d'Italia, precisando che il mancato aumento di produttività dipende soprattutto dalla troppa burocrazia, da trasporti e comunicazioni fermi a 30 anni fa, dalla poca innovazione di prodotto, dalla poca ricerca e dall'assenza di una politica industriale.
In questo clima mediatico, molti cittadini atterriti dalla paura di perdere il proprio status di benessere si chiudono in se stessi e nella cerchia dei singoli interessi. Di fatti è una società che si corporativizza. Come sostiene un noto sociologo, quando in una persona prevale l'interesse privato e personale sul senso di essere cittadino, è in pericolo non solo la solidarietà sociale, ma anche la democrazia stessa.
Little Prince(ss)
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Grazie di questo post, purtroppo sono tanti i casi in cui si sentono ipocriti professionisti riempirsi la bocca di valori cristiani e carità purché siano economicamente compatibili! Qualche tempo fa parlai qui della cosiddetta produttività e della sua retorica.
RispondiEliminaCi vorrebbero più pensioni altro che vollocameto mirato, che crea fatica si disabili e inconvenienza economica alle aziende! Alice
RispondiElimina@ Antonio: grazie della segnalazione!
RispondiElimina@ Alice: Trovo triste ridurre delle persone semplicemente al loro bisogno (la "fatica") e ad una presunta "inconvenienza economica". Triste e grave: è un processo di deumanizzazione terribile.
Disabilità significa incapacità ed è inutile pensare che siamo tutti uguali: basta fare le anime belle! Inseriamo nel lavoro o giovani capaci e anche con il loro contributo paghiamo pensioni a chi non è adatto al lavoro! Alice
RispondiEliminaAlice, hai mai pensato che il lavoro non ha solo la funzione d produrre ricchezza ma anche relazioni? Non è una domanda polemica, credimi. Ha ragione little prince(ss) quando dice che è triste ridurre le persone alla loro funzione economica, non è un bel mondo quello che prefiguri Alice.
RispondiElimina@ Alice: Sai, io conosco un bel po' di "giovani capaci" che sono anche "disabili" (parola che non a caso non mi piace troppo usare, proprio perché inchioda ad una "incapacità" facendola sembrare assoluta, quando invece è sempre relativa).
RispondiEliminaPoi, in generale, conosco persone, tutte con diritti e doveri, limiti e potenzialità.
@ Antonio: Mi piacerebbe che il discorso di Alice fosse solo triste. Ma ha anche potenzialità molto pericolose...
Cosa posso dirti? hai ragione, i discorsi come quelli di Alice sono pericolosi ma sulle prime un'enormità del genere non me l'aspetto e, sinceramente, mi spiazza. Forse a questa gente c'è solo da augurare di provare sulla propria pelle un po' di 'disabilità'.
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