La terminologia della bioetica: parole generiche e prive di riscontro scientifico nel ddl Calabrò

In questi giorni si parla molto, in Parlamento e nelle nostre case, negli uffici e nelle scuole, di testamento biologico. Il livello della discussione, per colpa di interventi precisamente mirati a questo, rischia però di sprofondare sempre più nella rozzezza e nella confusione. Per questo vogliamo proporvi alcune interessantissime riflessioni raccolte per NoirPink - modello Pandemonium da Giuliana Michelini, una delle persone più esperte in Italia a proposito di questa materia che ci aveva illustrato tempo fa con incredibile chiarezza espositiva.

Riprendiamo allora il filo del discorso, per cercare di fare emergere qualcosa di chiaro dalle valanghe di rozzezza e di confusione in cui vorrebbero sommergerci. Per prima cosa spazziamo via le parole cattive, quelle finalizzate non all'espressione di concetti e di idee, ma al nascondimento. Lo facciamo con Mario Riccio, il medico anestesista rianimatore che, di fronte al rifiuto del paziente di continuare ad essere collegato con il respiratore (trattamento che aveva subito anni prima in condizioni di incoscienza), "fece la volontà di Piergiorgio Welby".

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Sembra opportuno nel dibattito intorno al testamento biologico ed al testo di legge, licenziato dal Senato ed in discussione in questi giorni alla Camera, fare alcune riflessioni sui termini, che molto spesso vengono usati senza che questi possano essere ricondotti ad una sfera di principi condivisi.

All’articolo 6 punto 3) delle proposta di legge in discussione si parla ancora di “accanimento terapeutico”: questo termine viene oramai utilizzato esclusivamente nel nostro paese e non è traducibile né tradotto in nessun testo internazionale di bioetica o medicina. Facendo ricorso a tale espressione si pretende di fatto di stabilire oggettivamente quello che invece è soltanto soggettivo, mentre in medicina è valutabile solo quello che è inutile (“futility”) nella pratica medica - ad esempio, ventilare un paziente che non presenta più un sufficiente tessuto polmonare.

Se utilizziamo il termine “accanimento terapeutico” come un limite, scopriamo che questo limite è molto soggettivo: per alcuni è il vivere senza una gamba o collegati ad un respiratore, per altri queste situazioni sono invece accettabili anche se impegnative. Proprio perché il concetto di “accanimento terapeutico”è indefinibile e soggettivo, risulta impossibile utilizzarlo come riferimento giuridico.

Prima della morte di Piergiorgio Welby, il Consiglio Superiore di Sanità nella risposta al Ministro della Sanità, che aveva chiesto se la ventilazione poteva essere definita “accanimento terapeutico”, ha affermato che il concetto stesso di accanimento terapeutico è inaffidabile, auspicando che si provvedesse in tempi brevi all’emanazione di specifiche linee guida.

Anche il termine “morte naturale” è un concetto privo di contenuto. Oggi è impossibile sostenere un’idea di morte priva di una componente medica: si muore infatti accompagnati da una diagnosi e da una terapia. Aderire in parte o in tutto o rinunciare completamente ad una terapia modifica la prognosi e quindi la sopravvivenza della persona. Il termine è rimasto nel solo vocabolario giudiziario ed è intesa come morte non traumatica, che non è conseguenza di una lesione fisica esterna, di potenziale interesse giuridico.

Il credere che si possa stabilire un limite definendo cosa sia “accanimento terapeutico” e l’illusione di una “morte naturale” si trasforma nell’esercizio di imporre ad altri la propria convinzione.

Singolare poi l’utilizzo del termine “forma di sostegno vitale”, sia nel dibattito in corso sia nella stesura dell’articolo 3 punto 5) della proposta di legge sopraccitata così come licenziata dal Senato, riferito alla sola nutrizione artificiale. Nel paziente critico ogni terapia somministrata è un sostegno vitale. Dalla ventilazione alla dialisi, dalla trasfusione di sangue alla terapia antibiotica, dai farmaci di sostegno dell’attività cardiaca alla nutrizione artificiale, non esiste terapia che, se sospesa o non intrapresa, non possa causare la morte del paziente.

Ma dal punto di vista giuridico alla luce la questione non cambia: in base ai principi costituzionali nessun trattamento può essere imposto.

Mario Riccio

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3 commenti:

  1. E' la volontà dell'individuo come espressa nel testamento biologico che deve avere la priorità.

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  2. Approvo il commento di cui sopra di Rainbow la volontà del'individuo è primaria nel modo più assoluto.

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  3. bellissimo post, finalmente qualche elemento in più per affrontare il discorso, nel rispetto di ogni opinione, dato che la vita è di ciascuno di noi, quindi ognun@ decide per sè. Non avevo mai pensato a quanto fossero ambigui e generali queste espressioni... è un bel problema. Dato che non ci avevo mai pensato mi avete spiazzata e vi risparmio il solito papiello... ma farò girare la notizia perchè credo che possa dare vita ad una bella discussione.

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Il grande colibrì