Testamento biologico, dignità della persona e idratazione artificiale: l'emendamento di Moro

Dopo aver scoperto con Mario Riccio come il ddl Calabrò in discussione in Parlamento utilizzi un linguaggio scientificamente infondato, oggi vi proponiamo l'analisi giuridica di Marilisa D'Amico, ordinario di Diritto Costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano, sempre attenta ai temi della laicità e dei diritti civili.

La professoressa D'Amico, ad esempio, ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale a proposito della legge sulla fecondazione assistita, vedendone riconosciuta l'incostituzionalità di alcuni articoli. Sempre lei ha presentato anche un fondamentale ricorso alla Corte sostenendo l'incostituzionalità delle leggi nell'interpretazione volta all'inapplicabilità alle coppie omosessuali delle disposizioni in tema di matrimonio.

Il pezzo è stato raccolto con il contributo di Giuliana Michelini.

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Il punto centrale e controverso della proposta di legge n. AC 2350, approvata dal Senato il 26.3.2009 (Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento) è contenuto nell’art. 3 (Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento).

Tale disposizione disciplina il contenuto della dichiarazione anticipata di trattamento, nella quale il soggetto “esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere” (vi potrebbero essere profili problematici in relazione alla stessa espressione “esprime il proprio orientamento”, che quasi arriva a sfumare l’atto di una piena volontà).

Il dichiarante in stato di piena capacità di intendere e di volere e in una situazione di compiuta informazione medico-clinica può dichiarare il “proprio orientamento” sull’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari, sempre in conformità rispetto alla legge e al codice di deontologia medica. In tale dichiarazione anticipata di trattamento (cosiddetta DAT) può essere altresì esplicitata la rinuncia del soggetto “ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”.

Nella DAT il soggetto non potrà inserire indicazioni che integrino le fattispecie penali di cui agli artt. 575 (Omicidio), 579 (Omicidio del consenziente) e 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) c.p.

La disposizione prosegue sottolineando come, nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (New York, 13.12.2006), “l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”.

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A fronte di tale disposizione limitativa si possono svolgere le seguenti osservazioni, con particolare riferimento alla stessa ratio ispiratrice della normativa, nonché alla definizione di alimentazione e idratazione artificiale e ai lavori preparatori dell’Assemblea costituente.

1. La proposta di legge, infatti, si propone di tenere in conto “i principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione” (art. 1).

In tal modo intende riconoscere e tutelare la vita umana, “quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge”; riconoscere e garantire “la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza”; riconoscere che nessun trattamento sanitario può essere attivato senza l’espressione del consenso informato.

Resta fermo il principio per cui la salute deve essere tutelata come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. Inoltre, nessuno può essere obbligato ad un certo trattamento sanitario, se non per una disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Tali principi derivano, come recita l’art. 1 della proposta di legge, oltre che dagli artt. 2 e 13 Cost., anche dall’art. 32 Cost. È quindi con particolare riguardo a quest’ultima disposizione costituzionale e ai suoi lavori preparatori che si intendono svolgere alcune osservazioni, tese alla dimostrazione della irragionevolezza e della contrarietà a Costituzione di una simile previsione. Non si può, a questi fini, prescindere da una previa analisi dei concetti di alimentazione e idratazione artificiale.

2. Sulla nozione di tali tecniche non vi è unanimità di posizioni. Tuttavia, l’art. 3 come sopra richiamato ha inteso considerare l’alimentazione e l’idratazione artificiale quali forme di sostegno vitale. È stato rilevato come sia del tutto singolare che il legislatore adotti una tale definizione con ciò escludendo che si tratti di atti medici per poi trattarne nell’art. 3 che pone la disciplina della DAT, in cui il soggetto esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari (1).

La Corte di cassazione, innanzitutto, nella sentenza n. 21748 del 2007 (caso Englaro) ha definito quali trattamenti sanitari l’alimentazione e l’idratazione artificiale. Anche il Consiglio nazionale della Federazione nazionale dei medici e degli odontoiatri ha dichiarato che la nutrizione artificiale è un trattamento assicurato da competenze mediche e sanitarie (2).

E ancora la Società italiana di nutrizione parenterale e enterale riconduce tra i trattamenti sanitari anche la nutrizione artificiale: “La NA è un trattamento medico. La NA è da considerarsi, a tutti gli effetti, un trattamento medico fornito a scopo terapeutico o preventivo. La NA non è una misura ordinaria di assistenza (come lavare o imboccare il malato non autosufficiente)(3).

Di diverso avviso il Comitato nazionale per la bioetica, per il quale “Nutrizione e idratazione vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere (garantendo la sopravvivenza, togliendo i sintomi di fame e sete, riducendo i rischi di infezioni dovute a deficit nutrizionale e ad immobilità)(4).

Tale diversità di opinioni si riflette inevitabilmente anche sul piano giuridico poiché se tali tecniche si considerano atti medici devono sottostare ai principi che regolano il consenso del paziente e dunque non possono essere imposti contro la sua volontà.

Inoltre, non si dovrebbe rispettare il divieto di accanimento terapeutico (su questo punto si veda Corte App. Milano 31.12.1999, che sottolinea come definire tali tecniche quali trattamenti terapeutici consentirebbe di invocare il principio del divieto di accanimento terapeutico. Mentre Cass. n. 21748 del 2007 ritiene che il trattamento sanitario di nutrizione artificiale non costituisce una forma di accanimento terapeutico ma un presidio proporzionato per mantenere il soffio vitale tranne che nell’imminenza della morte il soggetto non sia più in grado di assimilare sostanze. Il Comitato di bioetica invece ha sostenuto che non ci sono dubbi sulla doverosità etica della sospensione della nutrizione quando nell’imminenza della morte l’organismo non sia più in grado di assimilare le sostanze che gli vengono offerte. L’unico limite, ad avviso del Comitato, è la capacità di assimilazione dell’organismo).

È stato ampiamente rilevato come la scelta del legislatore in questo senso violi gli artt. 3 e 13 Cost. (5). Quanto all’art. 3 Cost. si prospetta una violazione poiché si introduce una disparità di trattamento tra i soggetti che sono capaci di intendere e di volere che quindi possono disporre del proprio corpo e quei soggetti che invece son incapaci e che dunque non potrebbero manifestare alcun rifiuto neppure con le DAT.

La normativa inoltre contrasta con l’art. 13 Cost. poiché considera come non rese le dichiarazioni tese ad esprimere il rifiuto di alimentazione e idratazione artificiale. Dunque si prospetta la possibilità di somministrare tali tecniche anche contro la volontà del soggetto e in ipotesi non previste dal testo costituzionale.

3. Con riferimento agli scopi prefissati dalla normativa e con riguardo alla contraddizione che si profila tra questi e gli strumenti apprestati, che limitano la possibilità di esprimere il proprio orientamento sui trattamenti terapeutici consistenti nell’alimentazione e nell’idratazione, occorre prendere in considerazione l’art. 32 Cost. e i suoi lavori preparatori (6).

Come si è già ricordato la normativa che intende regolare le dichiarazioni anticipate di trattamento si pone quale obiettivo il rispetto della “dignità di ogni persona in via prioritaria. Tale intento richiama esplicitamente l’art. 32 Cost., che al suo secondo comma dispone che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

La proposta di legge in commento ha, nel riferirsi ai principi espressi dall’art. 32 Cost., ripreso un concetto, la “dignità della persona”, che pur non essendo presente nella disposizione costituzionale era stata proposto nel corso dei lavori preparatori.

Nella seduta del 28 gennaio 1947, infatti, si aprì la discussione sull’inciso “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

In particolare, la seduta si aprì rendendo conto del fatto che il Comitato aveva respinto l’emendamento aggiuntivo (a “La Repubblica tutela la salute e l’igiene ed assicura cure gratuite agli indigenti”) proposto dall’On. Aldo Moro. L’emendamento era stato così concepito: “Nessun trattamento sanitario può essere obbligatorio se non per legge. Non sono ammesse pratiche sanitarie lesive della dignità umana”.

Per l’On. Moro si trattava di un problema di libertà individuale che non poteva non essere garantito dalla Costituzione: quello cioè di affermare che non possono essere imposte in via obbligatoria ai cittadini pratiche sanitarie se non è previsto dalla legge. Inoltre, si intendeva porre una limitazione al legislatore: i cittadini non avrebbero potuto essere assoggettati a pratiche sanitarie pur poste dalla legge se queste si fossero rivelate contrarie e lesive della loro dignità.

L’On. Moro chiarì infine come non si intendesse escludere il consenso del singolo a determinate pratiche sanitarie che si rendessero necessarie per il suo stato di salute. Si intendeva solo vietare che la legge per considerazioni di carattere generale e di male intesa tutela degli interessi collettivi disponesse un trattamento del genere.

Qualora la legge avesse dovuto imporre un certo trattamento, avrebbe dovuto pur sempre rispettare il principio della dignità della persona (“I casi invece di carattere generale da applicarsi a tutti i cittadini devono essere disposti per legge entro quei determinati limiti di rispetto della dignità umana”).

Marilisa D'Amico

Note:
(1) In questo senso, A. Scalera, “Brevi note su dichiarazioni anticipate di trattamento e alimentazione o idratazione artificiale”, in Questione giustizia, 2010, I, 85.
(2) “Documento del Consiglio Nazionale della FNOMCeO sulle D.A.T.”, 13.6.2009.
(3) “Precisazioni in merito alle implicazioni bioetiche della nutrizione artificiale”, gennaio 2007.
(4) “L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente”, 30.9.2005.
(5) Si veda, da ultimo, A. Scalera, cit.
(6) Si rinvia per la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità alla Documentazione per l’attività consultiva della I Commissione, 3 e s.


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