Darfur, il fiume di sangue e violenza che nessuno vuole chiamare con il nome di genocidio

Il genocidio come crimine contro l’umanità lascia aperti numerosi pensieri. I morti, l’odio, il fallimento di qualunque istituzione. Non è solo brutalità, non è solo guerra: diventa l’arma per distruggere le radici stesse del sentire umano. Si uccide su larga scala attraverso programmi politici solo con l’obiettivo di redimere identità, come se queste diventassero l’emblema stendardo della persona.

Per questo, fa riflettere la decisione dell’ONU di non indicare la situazione del Darfur come genocidio. Come si sa, il Darfur, la zona occidentale del Sudan situata nel deserto del Sahara, è dal 2003 al centro di un conflitto tremendo che ha portato a seppellire circa 400.000 morti secondo le stime avanzate dalla Coalition For International Justice. Le fazioni contrapposte comprendono due popolazioni islamiche che fin da tempi lontani sono protagoniste di numerosi scontri a causa della scarsità di risorse.

In particolare, le diverse provenienze delle due etnie, dall’Arabia le popolazioni nomadi e dall’Africa quelle stazionarie, ha sempre comportato un diverso utilizzo delle risorse, caratterizzando anche l’opportunismo sia dell’Impero Britannico durante la colonizzazione del Sudan, che favorì l’allargamento della parte più orientale e aumentò maggiormente l’influenza della capitale Khartoum, sia degli stessi governi indipendenti che, facendo leva sulla faziosità delle due popolazioni, hanno sempre additato la colpa della miseria del Darfur a una delle due parti nel tentativo di attirare i voti dell’altra.

Tuttavia, è negli anni ’80 che si ha l’inizio della crisi che ha portato alla situazione di oggi, con l’elezione del governatore autonomista Ahmed Dreig. Infatti, fin dalla nascita dello Stato del Sudan, il Darfur ha dato alla luce numerosi gruppi autonomisti di natura africana, quindi stazionaria, che rivendicavano il diritto all’indipendenza e che sostenevano che l’annessione era solo il frutto di calcoli inglesi vecchi. Con questa elezione, le posizioni autonomiste si fecero più forti, tanto da indurre le popolazioni nomadi a riunirsi sotto l’egidia dell’Arab Gathering, un movimento che divenne sempre più orientato politicamente verso l’estremismo e la violenza.

Da qui, l’escalation verso il conflitto iniziato nel 2003 è drammatica. L’unione dei due gruppi estremisti delle popolazioni sedentarie, il Movimento Giustizia e Uguaglianza e il Movimento per la Liberazione del Sudan, con l’attacco ai soldati governativi ad al-Fashir del 25 aprile 2003 in cui morirono quasi 100 persone, diede poi l’avvio all’insediamento del gruppo Janjawid, appoggiato in modo oculato dal Governo Sudanese, scatenando di fatto la guerra civile.

In mezzo i morti civili, migliaia di profughi che, viste le case distrutte, si sono rifugiati nel vicino Ciad, tantissime le donne violentate e i bambini uccisi, alimentando così una crisi umanitaria che, però, nessun livello istituzionale si azzarda a chiamare genocidio o pulizia etnica nei confronti del popolo d’origine africana ad opera dei Janjawid. Inoltre, lo stesso Ciad dichiara guerra al Sudan, appoggiando anche la risoluzione dell’ONU circa l’invio di contingenti di pace.

Nonostante siano terrificanti le testimonianze delle uccisioni, che raccontano di tecniche come lo smembramento tipiche della pulizia etnica attuata dalle truppe di Milosevic, e i numeri che indicano quanto siano numerose le morti di natura violenta, l’ONU non ha indicato la situazione come genocidio, impedendo così l’avvio della procedura sovraordinaria della Responsabilità a proteggere.

Infatti, indicando il genocidio come il maggior crimine che si possa compiere, si è deciso di modificare la struttura della sicurezza internazionale adottando strategie sia di prevenzione che di effettivo controllo del territorio in cui il crimine viene commesso, superando le barriere nazionali.

La Responsabilità a proteggere è la politica che si fa carico di questo principio di sicurezza, obbligando gli Stati a impedire l’attuazione di genocidi dentro i propri confini e di intervenire nel caso uno Stato fallisca in questo tentativo. Ridisegna così la responsabilità politica, andando a toccare il limite dei confini nazionali nel tentativo di salvaguardare la vita umana da crimini istituzionalizzati. Tuttavia, affinché questo principio venga attuato, deve essere accertato un caso di genocidio e la mancata dichiarazione dell’ONU su questo punto nei confronti del Darfur impedisce qualsiasi risoluzione.

In più, l’ostracismo della Cina nei confronti dell’operato dell’ONU e del Consiglio di Sicurezza impedisce l’imposizione di sanzioni vere e tangibili verso il Governo Sudanese. La Cina infatti, con in prima fila l’azione della China National Petroleum Co., acquista la gran parte del petrolio presente nel territorio del Darfur, favorendo trasversalmente il Governo di Khartoum. Per questo motivo, il veto cinese a qualunque mozione contro il Sudan favorisce la continuazione di questa guerra.

Inoltre, molti tentano di restare cauti sulla possibilità di occupare militarmente il Darfur impedendo il genocidio secondo il principio della Responsabilità a proteggere, vedendo in questo un tentativo di ottenere l’accesso alle riserve petrolifere del territorio attraverso procedure sovraordinarie.

Ma in tutto questo, è ovvio che chi paga sono come sempre le vittime civili. Carestie frequenti e malattie fanno da cornice macabra alle violenze umane in atto, andando a troncare col sangue un’emergenza che si prolunga da troppo tempo e che sta causando un numero atroce di morti e profughi. Circa 5 milioni di persone subiscono violenze quotidianamente, di cui la metà sono bambini, come denuncia l’Unicef. In più, l’area impraticabile e il controllo del territorio da parte dei ribelli o del Governo impedisce l’accesso alle agenzie umanitarie, ostacolando così l’invio di aiuti. Così si resta, senza che nessuno prenda veramente in considerazione l‘intera vicenda.

Perché si legge, si sente la sparata del vip di turno e si cambia pagina, canale, schermo, un po’ indignati, arrabbiati, confusi. Ma c’è subito dell’altro, per cui che importa.

Non va così il mondo?

Milesmood

Per approfondire:
* Darfur - Sudan, la più vasta crisi umanitaria del pianeta (Unicef)
* Darfur, ai confini dell’inferno (Articolo 21)
* Report of the Security Council mission to the Sudan and Chad, 4-10 June 2006
* Resolution 1881 (2009)
* Darfur and Beyond: what is needed to prevent mass atrocities (di Lee Feinstein)

Leggi anche:
* Lo Sri Lanka e la sua guerra civile
* Io non sono in guerra: condividere il dolore, non condividere l'odio. Per costruire la pace
* Guerra

2 commenti:

  1. Il problema e' che l'ONU e' diventata una di quelle istituzioni che dall'uomo della strada sono concepite come super partes, dimenticandoci del fatto che sono formate dagli STATI e che rispondono a logiche totalmente politiche. Per non parlare del potere di veto dei grandi colossi che si fanno dispetti (o favori) fra di loro.

    Sull'ONU e la sua presunta imparzialita' ci sarebbe da discutere (e ci sarebbe da fare un discorso piuttosto ampio anche su questioni come le famose "risoluzioni ONU contro Israele"). Bel pezzo, comunque.

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  2. sul darfur ho letto molte cose, questo articolo però mi sembrato molto interessante perchè è molto sentito e rissume bene le cose più importanti
    speriamo di poter diventare un movimento d'opinione davvero efficace, in grado di guidare la mano dei nostri governanti

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Il grande colibrì