"Bramadero" di Hernández e "Superm Highway" di Mogutin e Kenny: arte e porno, ma che noia!

Dolce, selvaggio, fedele, perverso, protetto, a rischio, bollente, sereno, in coppia, in gruppo, solitario, sfrenato, interraziale, intergenerazionale, orale, anale, vaginale, violento, tenero, strano, promiscuo... Moltissimi aggettivi possono accompagnarsi al buon sesso. Ma non tutti.

Ad esempio, il buon sesso non può essere semplicistico e banale, come appare di solito nella pornografia commerciale etero e gay: scopate, succhiate e porcate varie ripetute meccanicamente, con persino la perversità e lo squallore - elementi potenti dell'immaginario erotico - ormai omologati e di serie. Pissing, fisting, bukkake, medical sex...: tutto è replicato e banalizzato in miliardi di foto e di video, facilmente reperibili in milioni di sexy shop e di siti internet. Nella pornografia nulla ha mantenuto la propria stra-ordinarietà, cioè il fascino di ciò che non è ordinario - e magari neppure dicibile...

Non che l'arte sappia fare molto meglio, di solito. Anzi, il sesso diventa inutilmente complicato e serioso, altri due aggettivi che non si conciliano con il buon sesso. Complicato e serioso e senza neppure la consolazione della spruzzatina di sperma finale... Gli esempi abbondano, ma mi limito a citare due cortometraggi gay proiettati al Festival MIX di Milano.

Il primo è "Bramadero", del messicano Julián Hernández: in un cantiere edile due ragazzi (Sergio Almazán e Cristhian Rodríguez) si incontrano e fanno sesso. Non una parola, non un gemito: unico rumore è il sottofondo dei motori e dei clacson delle strade cittadine. Sotto la cinepresa - dal movimento a tratti tarantolato e a tratti lentissimo, sempre inopportuno nel desiderio tanto autocompiaciuto quanto vano di essere originale -, i due si accarezzano, si succhiano, si scopano, cercano di strangolarsi e alla fine si strangolano davvero: ah, Eros e Thanatos, che originalità!

E se la bellezza dei due attori di "Bramadero" può costituire una piccola attenuante alla noia sconfinata del corto, l'unica consolazione per lo spettatore di "Superm Highway", di Slava Mogutin e Brian Kenny, è la sua brevità: in 5 minuti scorrono 116 fotogrammi ad infrarossi, in un bianco e nero sgranato, che mostrano il giovane master-escort svizzero Tom con un cliente. In micro-frammenti sonori gracchianti, Tom spiega di essere un master, di fare sesso coi clienti, di farlo a pagamento e che "faccio quello che mi piace": da un master-escort certe affermazioni non ce le saremmo mai aspettate, vero?

Insomma, troppo spesso il sesso viene raccontato o solo all'uccello o solo al cervello (anzi, in questo secondo caso si tenta di raccontarlo, con risultati assai insoddisfacenti). A cercare di soddisfare lo spettatore in tutte le sue componenti sono pochi, e ancora meno ci riescono: Bruce LaBruce al cinema, Luigi y Luca, Tagame, Diego Tolomelli... Quando questo succede, però, l'orgasmo visivo, mentale e - quando possibile - genitale è davvero indimenticabile.

Little Prince(ss)

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2 commenti:

  1. Io penso che il sesso quando è guardato è un pò come le lettere d'amore lette da chi non è l'oggetto, oltre alle belle parole o alle belle immagini andare oltre il minuto si rischia di sprofondare in una noia mortale.

    Mi è capitato di vedere scene di sesso in film porno e non che duravano più di dieci minuti, anche il più bravo attore mai esistito non potrebbe sostenere una scena per così tanto tempo senza annoiare.

    10 giugno 2009 13.13

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  2. Bel pezzo. Certo come rendere il sesso, l'eccitazione legata al pensare, vedere e fare sesso è abbastanza misterioso. A volte nella letteratura sembra che ciò riesca di più che nel cinema dove l'immediatezza dell'immagine può funzionare anche in senso contrario, come annullamento di ogni novità, come ripetizione fissa. Il puro realismo non solo non basta ma trasmette ben poco. Nel cinema credo che sia decisiva la costruzione di un'attesa, che deve coinvolgere chi osserva, l'insorgere dell'eccitazione mentale e fisica.

    11 giugno 2009 2.21

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Il grande colibrì