La maratona di Padova, Giovannoni e le mutande degli africani; ovvero dell'invidia del celodurista

Mica vorremo finanziare con soldi padani una corsa dove "a vincere sono sempre atleti africani o comunque extracomunitari in mutande"? Pietro Giovannoni, consigliere provinciale leghista (ma va'?) di Padova, ha chiesto di non dare un soldo alla maratona di Sant'Antonio perché vincono quasi sempre donne e uomini dalla pelle troppo scura (nell'ultima edizione hanno trionfato i keniani, conquistando il podio sia maschile che femminile).

Certe affermazioni, di così evidente pochezza e rozzezza, sarebbero da lasciar marcire in un angolo della coscienza collettiva, come un residuato fastidioso e forse ineliminabile di un progresso umano che, fatto da esseri imperfetti, non può che essere esso stesso viziato da forti imperfezioni. Ma forse conviene tornare ancora un secondo su quelle parole.

E riflettere, ad esempio, sul fatto che non si tratta affatto di un residuato, ma che quelle parole sono lo specchio di una mentalità ben troppo diffusa e ora persino istituzionalizzata, di una mentalità che intossica le menti e i cuori di troppe persone e che dalle fogne si è inerpicata su su per le tubazioni e ha fatto capolino dai cessi di Montecitorio, di Palazzo Madama, di Palazzo Chigi e dei palazzi di comuni e province e regioni di un'ampia fetta d'Italia, invadendo e occupando e insozzando, come una lurida marea di sterco liquido, il potere legittimo di questo paese. Ma questi son fatti ben noti, purtroppo.

C'è un dettaglio che invece merita più attenzione: quel termine - "mutande" - usato al posto di pantaloncini. Perché Giovannoni parla di mutande? Per dare un'immagine negativa degli atleti africani, equiparandoli a straccioni qualsiasi che non possono permettersi neppure l'acquisto dei calzoncini? Per ridicolizzarli (gli africani, si sa, vanno in giro solo con le mutande, con la sveglia al collo e con delle perline colorate che hanno barattato per qualche chilo d'oro zecchino)? Sì, tutto molto probabile, e però...

E però forse è il caso di ricordare come le mutande siano un capo d'abbigliamento molto simile ai pantaloncini da corsa, ma anche molto più intimo. Le mutande, insomma, sono a diretto contatto con quell'enorme tesoro - enorme lo vuole la vulgata popolare, ma anche la statistica lo descrive come mediamente più grande - che i neri si ritroverebbero tra le gambe e che tanta invidia provoca in tanti maschi, soprattutto in quelli affetti da disturbi ossessivo-compulsivi celoduristici. (Delle mutande femminili non parliamo, tanto conosciamo la marginalità della donna nell'universo simbolico delle nostre culture...)

Insomma, il cerchio sembra chiudersi (è evidentemente l'invidia per la velocità dei "mori" che porta a chiedere il taglio dei finanziamenti per una maratona, è forse l'invidia per le dimensioni falliche dei "mori" che porta a parlare di mutande e non di pantaloncini) per svelare il suo segreto: è un grave e totalizzante senso collettivo di inferiorità e di inadeguatezza che genera questo così dilagante e condiviso odio razzista verso il diverso colore di pelle.

Un senso di inferiorità collettivo ingiustificato - a meno di non ritenere che esistano davvero razze superiori (i neri) e razze inferiori (i bianchi) - che opprime i razzisti e che si traduce in oppressione nei confronti di chi appare diverso. Una sana cultura anti-razzista è dunque da invocare a beneficio di tutti, anche dei razzisti e dei loro ideologi.

E chissà che un giorno non potremo gioire tutti insieme del meraviglioso spettacolo dei corpi umani, caleidoscopiche sfumature di colore, in movimento. Con addosso pantaloncini o mutande. O magari neppure quelle, per riprendere la tradizione delle antiche Olimpiadi e lasciare agli occhi e ai cuori la libertà di correre anche loro...

Little Prince(ss)

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2 commenti:

  1. Avevo letto l'articolo su repubblica ed ero rimasto di sasso.

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  2. "un grave e totalizzante senso collettivo di inferiorità e di inadeguatezza"...non potevi descrivere in maniera più esaustiva il volgare campanilismo leghista - ormai non solo leghista.

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Il grande colibrì