Identità malleabili (per sopravvivere alla rigidità) - Il curioso caso dell'etero curioso (4° parte)

Dove eravamo rimasti...
* Nord, sud, ovest, est: disorientamenti sessuali? (1° parte)
* Una sola etichetta per tutti: quella del rispetto (2° parte)
* Quando il marito si "scopre" omosessuale... (3° parte)

Identità. Cioè assoluta uguaglianza. O, perlomeno, coincidenza di tutti gli elementi ritenuti rilevanti. E' attraverso questo meccanismo che ci sentiamo parti di un gruppo, di un'entità più grande di noi: una famiglia, un paese, un genere, un credo, una specie animale. E' attraverso questo meccanismo che sentiamo gli appartenenti ad altri gruppi (altre famiglie, altri paesi, altri generi, altri credi, altre specie...) come, appunto, "altri", diversi da noi per alcune caratteristiche fondamentali o in toto.

Questa relazione tra appartenenza e non appartenenza implica inevitabilmente una serie di norme, di prescrizioni positive e negative, più o meno complesse, più o meno stringenti. Non esiste identità senza norme. Perché sono proprio queste norme a costituire la colonna dorsale dell'identità. Tradire le regole del proprio gruppo di appartenenza significa tradire la propria identità. Abbandonare un'identità significa abbandonare le sue norme.

Accanto a queste identità collettive, esistono le identità individuali, frutto del tentativo di conciliazione, più o meno riuscito, tra le caratteristiche (e le norme) di tutti i propri differenti gruppi di appartenenza e alcune caratteristiche e alcuni bisogni più propriamente individuali. In questo coacervo caotico, non tutto riesce ad armonizzarsi immediatamente e spontaneamente, ma è necessario un ricco lavoro di limature, di esercizi retorici, anche di forzature, per trovare un equilibio accettabile. A volte, quando questo equilibrio non riesce ad emergere, diventa inevitabile abbandonare alcune identità per sopravvivere.

Sono processi che riguardano ciascuno di noi, in modo più o meno cosciente, più o meno combattivo. Probabilmente sono processi da cui nessuno può davvero sfuggire completamente, ma che si possono comprendere e ai quali si può reagire. Le identità collettive non sono oggetti immacolati e perfetti, impenetrabili e immodificabili, orizzonti assegnati da destini imperscrutabili (si nasce brasiliani o bengalesi, uomini o donne, neri o meticci, buddisti o cristiani, eterosessuali o omosessuali...).

Ogni identità è invece il frutto dell'interazione tra caratteristiche personali innate e costruzioni storiche e sociali - tra "natura" e "cultura", direbbe qualcuno (come se una distinzione netta fosse possibile, come se ogni caratteristica innata non fosse comunque filtrata dall'elemento culturale, come se le costruzioni storiche potessero nascere e svilupparsi indipendentemente dall'elemento umano, dai suoi bisogni, dai suoi processi mentali).

Le stesse identità collettive si modificano nel tempo, perché le linee di divisione tra appartenenza e non appartenenza hanno una propria vita, nascono e muoiono, si potenziano e avvizziscono, si modificano e si compenetrano. Le identità nazionali non esistevano fino a tempi non troppo remoti e i loro confini di oggi non sono quelli di ieri. Non esisteva un'identità cristiana prima di Cristo. Ed esiste ancora, forte e robusta come lo era pochi decenni fa, un'identità di classe?

L'identità di genere di oggi è la stessa di quella dei nostri nonni, la stessa degli anni del Risorgimento, la stessa dei longobardi o degli antichi romani? L'identità di genere cambia nel tempo e anche nello spazio, assume significati diversi, impone norme diverse, è persino contrastata e smontata in modi diversi.

E cosa dire dell'orientamento sessuale? Cosa c'è di inevitabile e di naturale in delle identità (quella omosessuale tanto quanto quella eterosessuale) "inventate" in tempi assai recenti e per ragioni oggi scientificamente dichiarate invalide? Cosa c'è di evitabile e di culturale in delle identità basate su impulsi e desideri insopprimibili e spontanei? In questo quadro, fatto di scelte e di vincoli, di costrizioni e di libertà, non si capisce perché prendesela tanto con gli "eterosessuali curiosi".

Raccontare che questi uomini starebbero tradendo se stessi, starebbero tradendo la propria identità omosessuale significa solo proporre norme più ferree, più pressanti, più vincolanti come fondamento delle identità basate sull'orientamento sessuale. Condannare questi uomini, denigrarli, offenderli significa solo irrigidire il muro divisorio tra omosessualità e eterosessualità. Ricordare a questo punto l'intersezione bisessuale è un'operazione dovuta, ma è, tuttavia, un'operazione di insiemistica che non ci salva dalla rigidità, che non abbatte alcun muro...

Lasciare invece che una persona eterosessuale possa esplorare e godere dei piaceri del corpo e della mente degli essere umani del proprio stesso sesso (o che una persona omosessuale esplori e goda dei piaceri del corpo e della mente dell'altro sesso) rende le identità sessuali più confuse e disorganiche, allenta e sfibra le norme differenziate su cui si fondano (l'unica norma è il rispetto), indebolisce e sgretola i muri divisori. Di più: polverizza la logica su cui si fondano le identità sessuali (e, con esse, strati e strati sedimentari di pregiudizi) e le rende libere di esprimersi come meglio credono.

In tutto questo, il movimento lesbico, gay e bisessuale deve scegliere quale strada seguire: proporre l'identità LGB come un dogma uguale e contrario al dogma eterosessuale o come un puro strumento retorico al servizio di una politica di libertà. Perché libertà non significa poter scegliere tra una gabbia e un'altra, ma richiede identità aperte, elastiche, morbide, cedevoli, con le quali sia possibile convivere, alle quali sia possibile sopravvivere.

Deve scegliere quale strada seguire: se puntare il dito contro l'etero-curiosità, come strumento personale per mascherare pulsioni e desideri associati ad una identità socialmente condannata, o riconoscere la libertà e la dignità di un eterosessuale appassionato di maschi e partire anche da qui per smascherare quanto siano convenzionali le etichette basate sull'orientamento sessuale e, quindi, quanto siano stupide le discriminazioni basate su quelle stesse etichette...

Little Prince(ss)

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8 commenti:

  1. Sono essenzialmente d'accordo sulla malleabilità (che in qualche caso, in ambito antropologico, ho sentito chiamare diaforentità).
    Credo però che l'"intersezione bisessuale" non sia solo - o non sempre - un'operazione di insiemistica, laddove dirsi bisessuali non significa solo dire "mi piacciono uomini e donne", ma, se portata avanti con una certa consapevolezza, è un grimaldello per liberare e legittimare desideri fluidi, più vicini a una sessualità queer, con ruoli di genere non predefiniti.
    Il problema cruciale secondo me è che chi prova questi desideri spesso non ha le parole per esprimerli, o non osa farlo ( non c'è nessun guudizio moralistico in quello che dico).

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  2. @ Andrea:

    Non voglio in alcun modo (come pure spesso viene fatto) negare l'esistenza di persone che provano attrazione sia per le donne sia per gli uomini né affermare che l'affettività e/o la sessualità di queste persone siano in qualsiasi modo "meno degne".

    Parlando di "intersezione bisessuale" registro semplicemente il fatto che, socialmente, abbiamo due forti identità, quella eterosessuale e quella omosessuale ("inventate" insieme per essere contrapposte l'una all'altra). L'identità bisessuale è ancora qualcosa di piuttosto vago, tanto è vero che non esistono ancora, come noti, le parole per esprimere il desiderio bisessuale - cioè non si è ancora sviluppata quella retorica normativa tipica delle due identità più forti.

    Insomma, la persona bisessuale, quando non vede negarsi la propria esistenza con il timbro della "omosessualità repressa", è percepita in genere proprio come una specie di intersezione tra le due identità "principali" (paradossalmente, perché omosessualità e eterosessualità nascono come contrapposizioni che si negano a vicenda).

    Ora anche qui un bivio: rafforzare l'identità bisessuale, creando anche per lei una retorica e delle regole (più) stabili, oppure appunto usare anche la bisessualità come un grimaldello per far saltare il sistema - ma in questo caso, saltati gli insiemi, saltano anche le intersezioni: il bisessuale scompare insieme all'eterosessuale e all'omosessuale.

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  3. Sembrava una cosa molto "easy" quando ho letto la prima parte e invece è finita con queste riflessioni così alte, importanti e universali: davvero una piacevole sorpresa, complimenti!
    Toni

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  4. Sinceramente non saprei dire quale delle due strade sarebbe la migliore in assoluto: forse alcune persone hanno bisogno di quella che tu chiami una retorica stabile, altre no, o meglio preferiscono creare una retorica della fluidità, che poi alla fine sempre retorica è :)

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  5. Ah, e comunque dal tono di questo e altri post era chiaro che non intendevi togliere "dignità" ai bisessuali! ;)

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  6. @ Toni:
    Spero che tutta la lettura sia stata "easy", se questo significa leggera e piacevole :-)

    @ Andrea:
    Credo che tutti abbiamo bisogno di una retorica, di raccontare a noi stessi e agli altri chi siamo. Ma penso anche che queste retoriche, questi racconti dovrebbero essere al servizio delle persone e non delle prigioni da cui diventa impossibile uscire. Per questo non parlo qui tanto di fluidità (facendo l'elogio del cambiamento), ma di malleabilità (facendo invece l'elogio dell'adattamento): le nostre identità dovrebbero essere oggetti che possano essere deformati e riformati per adattarsi meglio alle esigenze e alle aspirazioni degli esseri umani...

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  7. ha ragione toni, all'inizio mi sembrava una cosa diverternte più che altro, al contrario è una cosa molto profonda

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  8. Siamo sulla stessa lunghezza d'onda su questo :)

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Il grande colibrì