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Vignetta: Sette Veli sulla Verità


Parlano i fatti di allora, che sono quelli richiamati da Grasso. Il procuratore antimafia dice la verità, e io condivido pienamente le sue parole. [...] Deve restare memoria di tutto questo, ma insieme alla memoria deve venire fuori anche la verità. Perchè senza verità non c'è democrazia.
Carlo Azeglio Ciampi [Unità]

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E tu, sei fuori dal sistema? Ricostruire la verità sulla storia d'Italia, ricostruire le nostre vite

Ci siamo abituati così tanto a chiamarlo "sistema berlusconiano" che oggi rischiamo di fare grande fatica a seguire l'evolversi degli eventi. Possiamo pure continuare a chiamarlo così, ma solo se ci rendiamo conto che l'espressione ha un valore puramente convenzionale e che c'è bisogno di un profondo sforzo mentale per superare alcune certezze, alcuni punti fermi che, invece, dobbiamo spostare parecchio in una prospettiva tutta da inquadrare da capo. La nostra più grande nemica, oltre a chi cerca di gettare la sabbia dell'oblio nei nostri occhi, rischia di essere l'oziosa pigrizia della nostra mente.

Chiamiamolo pure "berlusconismo" o "sistema berlusconiano", ma domandiamoci davvero se questo sistema vede in Berlusconi il proprio artefice o solo il proprio prodotto più visibile e pacchiano. Le più recenti indagini - che svelano reti di interessi di proporzioni angoscianti e dalle diramazioni impressionanti, che lacerano con il dubbio la storia degli ultimi decenni della vita politica e economica dell'Italia in tutti i suoi livelli - rendono la domanda tutt'altro che retorica.

Vignette: 23 maggio 1992-2010, i 18 anni della strage di Capaci



La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società.
Giovanni Falcone, Cose di Cosa Nostra

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Vignetta: Legittima Omertà


Gianfranco Fini incontra a Montecitorio lo scrittore Roberto Saviano per "sgomberare il campo dagli equivoci", testimoniare "la vicinanza delle istituzioni" nei confronti di chi quotidianamente si batte contro la criminalità organizzata ed esprimere "grande stima e considerazione" all'autore di Gomorra. [...] Il 16 aprile, durante una conferenza stampa a palazzo Chigi, Silvio Berlusconi inserì proprio Saviano nella “black list” di quegli autori “enti di promozione della mafia italiana nel mondo” che fanno dell'organizzazione criminale italiana, la prima per notorietà pur essendo la sesta nelle classifiche degli osservatori". [Unità]

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Almeno non toglieteci la mafia: se i cattivi sono quelli che si ribellano a schiavitù e criminalità...

"A Rosarno c'è una situazione difficile come in altre realtà, perchè in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un'immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall'altra ha generato situazione di forte degrado" - Roberto Maroni, ministro dell'Interno, Lega Nord

"I fautori di quell'idea [la cittadinanza breve] dovrebbero chiedere scusa e darsi pubblicamente, usando il lessico di Fini dicitore, degli emeriti stronzi" - Giancarlo Lehner, deputato, Popolo della Libertà [Repubblica]

Saviano o Cosentino for president? Ma la politica è pronta a combattere le mafie e a volare alto?

Non so se Nicola Cosentino sia un mafioso. So che cinque collaboratori di giustizia lo accusano di essere legato a doppio filo con la camorra e con i mafiosi di Casal di Principe, sua città natale. So che lo accusano di essere uno dei protagonisti del riciclaggio abusivo dei rifiuti tossici in Campania. Non so se tutto questo sia vero, ma so che questo signore è sottosegretario all'Economia e alle Finanze, esponente di spicco del Pdl campano e probabile candidato alla guida della regione Campania nelle prossime elezioni. So che è stato salvato dalle dimissioni anche grazie al Pd [L'Espresso].

"A Milano comanda la ‘Ndrangheta" di Carlucci e Caruso: siamo diventati tutti mafiosi?

Parlare male di Milano non è un compito così difficile. Non occorre nemmeno sforzarsi di lavorare di fantasia o di spremersi a fondo le meningi pur di trovare una qualche forma di argomentazione. Qualche difficoltà la può creare l’evitare di cadere dentro ai soliti luoghi comuni della città: è triste, grigia e senza vita; la gente è scorbutica e c’è sempre la nebbia.

Al di là dell’esagerazione immancabile, è comunque storicamente noto come Milano sia principalmente una città degli affari e, per questa ragione, non è nata come una città per viverci al massimo del benessere. Così, si è trasformata gradualmente in una Manchester del terzo settore, una città costruita a misura d’uomo per l’impiegato medio, chiusa su se stessa ma arrogante nel voler essere una delle capitali del mondo, capace di mutarsi in una città istituzionalmente razzista che istituzionalmente parlerà di fame nel mondo nel 2015.

Sebbene l’Europa sia praticamente a un passo, Milano resta provinciale davanti ai cambiamenti delle maggiori città europee, perché di certo non bastano un paio di locali e qualche evento artistico per poter competere con le altre a livello squisitamente sociale e culturale.

All'ombra di Barbara e del Vaticano: il moralismo cela i tentacoli di Silvio la piovra?

"Non credo che un uomo politico possa permettersi la distinzione tra vita pubblica e vita privata" racconta a sorpresa Barbara Berlusconi a Vanity Fair. E aggiunge: "Penso che una società esprima un senso della morale comune. I rappresentanti politici che sono chiamati a ben governare, a far prosperare la comunità, sono anche tenuti a salvaguardare i valori che essa esprime, possibilmente a elevarli" [Repubblica].

Applausi da sinistra: finalmente contro Silvio si ribellano anche i figli. Bella soddisfazione. Pure il Vaticano ha iniziato a storcere il naso. Altra soddisfazione.

Soddisfazione?!

Barbara Berlusconi chiede che non ci sia distinzione tra pubblico e privato nella vita di un uomo politico in nome di un "senso della morale comune" i cui valori dovrebbero essere salvaguardati dalla politica. Siamo soddisfatti perché una ragazza ripropone il modello dello stato etico, in cui valutazioni morali precostituite e indiscutibili (tanto indiscutibili da non citarne neppure il contenuto, giudicato evidentemente ovvio) si impongono sulle libere valutazioni individuali e sulle norme di legge?

E possiamo davvero essere soddisfatti del comportamento della Chiesa cattolica? Un articolo del giornale americano "The Nation" sintetizza molto bene questo comportamento:

"In Campania si è coperto il vero disastro". Viaggio con Nunzia Lombardi nel mondo delle ecomafie campane (2° parte)


Dove eravamo rimasti:
Introduzione alle ecomafie

2° parte

Nunzia Lombardi, Presidente del Comitato per la tutela del diritto alla salute, si occupa dal 2005 di diffondere il più possibile notizie, informazioni e cifre che riguardano l'azione della camorra nella sua terra. Assieme ad un gruppo di cittadini, ha iniziato a tessere le fila di un'attività che dagli anni 70 cerca il guadagno illegale attraverso lo sversamento di rifiuti tossici nelle campagne campane.

Questo è il seguito dell'intervista:

Quali sono le condizioni dei terreni della tua zona?

"In Campania si è coperto il vero disastro". Viaggio con Nunzia Lombardi nel mondo delle ecomafie campane (1° parte)

Quello dei rifiuti non è un problema da poco. Si calcola che in media ogni abitante consumi circa 500/600 kg di rifiuti netti all’anno. Ciò è l’altra faccia del voler tutto e subito: per ogni cosa che si ottiene subito c’è il contraltare dell’immondizia. Si butta via il vecchio per il nuovo che diventa subito vecchio e va buttato. Questo alimenta un circolo vizioso che difficilmente riesce ad essere smaltito completamente. A questo si aggiunge anche la questione dei grossi quantitativi dei rifiuti industriali: liquami e altri veleni altamente tossici, pezzi di macchinari putrefatti ormai cadaveri dopo aver compiuto il loro scopo della vita. Sottovalutare questo problema sarebbe da pazzi. In qualche luogo devono finire, e pochi si domandano quale è la loro destinazione finale. Di certo, di questo gruppo non fanno parte le holding criminali. Sfruttando un business redditizio, dagli anni 70 circa i cartelli criminali hanno preso per il collo quello che era un problema altamente dispendioso per le aziende e lo hanno trasformato in una delle attività più feconde. Secondo molti analisti, ancora più lucroso rispetto al mercato della droga.

Questo problema è senza dubbio mondiale. Il traffico illecito dei rifiuti è diventato infatti uno dei principali servizi offerti dalla criminalità organizzata. Grazie all’azione delle Triadi, la Cina, ad esempio, sta diventando la pattumiera mondiale per quanto riguarda i materiali elettrici e tecnologici. Lì finiscono la loro vita telefonini fuori moda, computer troppo lenti e altre apparecchiature di cui c’è subito una contropartita ancora più moderna ed aggiornata. Il tutto avviene ovviamente nell’ombra. Ciò favorisce un sottobosco illegale che fa del disastro ambientale il business per eccellenza.

Peppino Impastato, "giullare" a fumetti, raccontato da Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso

Vi abbiamo già presentato in anteprima il bellissimo fumetto "Peppino Impastato - Un giullare contro la mafia". Oggi vogliamo tornare a parlarne con i due autori, lo sceneggiatore Marco Rizzo e il disegnatore Lelio Bonaccorso.

* * *

Marco Rizzo, trapanese, oltre che giornalista professionista, traduce fumetti e scrive sceneggiature; in particolare, è noto per aver scritto il fumetto "Ilaria Alpi, il prezzo della verità".

Peppino Impastato, con il giornale "L'Idea Socialista" e Radio Aut, cosa ha fatto di nuovo rispetto ai mass media del tempo?

Peppino ha semplicemente sfruttato quei mezzi che già altri utilizzavano, come, ad esempio, le radio libere, applicando metodi innovativi soprattutto rispetto al contesto. Pensiamo a Radio Aut: a nessuno era mai venuto in mente di fare della satira sulla mafia! O di usare la carta stampata di prodotti come "L'Idea" non solo per proporre riflessioni e appunti, come già accadeva, ma anche per lanciare quel messaggio diretto e senza esclusioni di colpi: "La mafia è una montagna di merda".


Da questo punto di vista, il sottotitolo del vostro libro ("Un giullare contro a mafia"), nella sua semplicità, offre una definizione di Peppino capace di mettere in luce uno dei tratti più significativi della sua battaglia: l'uso costante della fantasia, del sarcasmo, dell'irriverenza.

Ci tengo a precisarlo: "Un giullare contro la mafia" non vuole affatto sminuire la figura di Peppino. Era un "giullare" giocoso e irriverente, sia con gli amici sia in alcune espressioni della sua lotta, in particolare in quelle più note attraverso la radio. Ma Peppino era anche un poeta malinconico ed efficace, un comunista vicino alla base, un rivoluzionario convinto, un uomo del popolo e - altro aspetto importantissimo - un outsider per la sua stessa famiglia, quindi doppiamente rivoluzionario.

Un giullare contro la mafia: con Bonaccorso e Rizzo, Peppino Impastato diventa un fumetto

"Assassino!". Si apre con un urlo e si chiude con tre tavole di silenzio - silenzio coraggioso, orgoglioso, per nulla omertoso - "Peppino Impastato - Un giullare contro la mafia" (edito da Beccogiallo, sceneggiatura del trapanese Marco Rizzo e disegni del messinese Lelio Bonaccorso, in uscita domani in tutte le librerie, ma che abbiamo letto per voi in anteprima), biografia a fumetti del giovane militante antimafia reso famoso dal film "I cento passi" di Marco Tullio Giordana e dalle canzoni di numerosi artisti, come Pippo Pollina, i Modena City Ramblers e tanti altri.

La storia dell'antimafia è piena di nomi caduti nell'oblio e potrebbe sembrare ridondante dedicare l'ennesima opera al personaggio più conosciuto. Perché raccontare ancora la stessa storia, perché ripercorrere ancora gli stessi passi? Non è inutile?

Se la famiglia ti condanna a morte: suicida a 13 anni a Villaricca, il padre è legato alla camorra

Si è suicidato a 13 anni. Le circostanze non sono chiare, Corriere e Repubblica offrono ricostruzioni molto diverse.

Solo due cose sono chiare: si è suicidato a 13 anni e ce l'aveva col padre, legato a un clan camorristico, forse per la morte del fratello, 15 anni, ucciso a pistolettate mentre tentava una rapina.

Non sappiamo cosa girava per la testa di Vittorio Maglione, in quella casa di Villaricca, periferia di Napoli. E solo in un eccesso di enfasi potremmo concludere subito che Vittorio sia da incoronare eroe dell'antimafia perché avrebbe compiuto il più estremo dei gesti di ribellione contro la camorra. E invece non sappiamo nulla sul senso reale di questo gesto.

Sappiamo solo che Vittorio è una nuova vittima della camorra e del pensiero mafioso. Sappiamo solo che questa è una morte di mafia e che, come in tutti le morti di mafia, pesanti responsabilità risiedono nelle famiglie.

Al di là di tutte le retoriche mafiose sull'onore e sulla famiglia, il mafioso è una persona che sta condannando a morte prima di tutto i propri familiari. Li sta vendendo in cambio di denaro e di potere.

Il familiare del mafioso che non denuncia direttamente il proprio familiare compie una scelta che, al di là di ogni retorica, non è giustificabile in nessuna famiglia: sta scegliendo di vedere il proprio familiare morto piuttosto che in prigione. La denuncia del familiare mafioso non ha nulla a che fare con il tradimento, ma, al contrario, è l'unica scelta - per quanto dolorosa - di reale amore familiare.

Ma non esiste famiglia, non esiste onore, non esiste amore, affetto, rispetto nella cultura mafiosa. Esiste solo una morte che, come il denaro, non ha odore.

E così la morte di Vittorio sarà una morte di nessun valore, come migliaia di altre morti. Passeranno sul suo cadavere e lo divoreranno, si ciberanno della sua carne e sputeranno le sue ossa. Finché arriverà il giorno - se mai arriverà - in cui le famiglie dei mafiosi si ribelleranno, decidendo di essere luoghi in cui proteggere i propri cari invece che condannarli a morte.


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Quando l'Antimafia è inutile: Milano e la Commissione che non s'ha da fà

Parole pesanti e intenzioni poco chiare. E' questo il panorama che circonda la città di Milano, e non solo, nei confronti dell'impegno contro la mafia.
Poche parole, poche azioni, molti insulti. Nonostante un continuo bailamme di contratti a termine, inchieste, appalti, soldi che scompaiono dalla finestra, molti interventi rivolti per un maggior rigore nel controllo di possibli infiltrazioni mafiose nella gestione dell'Expo 2015 sono caduti nel vuoto. Anzi, criticati con la solita accusa di strumentalizzazione politica del fenomeno. Quindi, diventano strumentali gli avvertimenti del Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, il quale denuncia che nessun imprenditore milanese si sia mai informato sul serio riguardo alle possibili ingerenze mafiose nella pianificazione Expo. In particolare, Ingroia avverte del rischio 'ndrangheta, ossia il gruppo criminal-imprenditoriale che maggiormente è riuscito ad immettersi nel tessuto legale dell'economia lombarda, e italiana in generale.
Tuttavia Formigoni, governatore della Lombardia, fa i suoi soliti bla bla bla ciellini e accusa lo stesso Ingroia di essere calunnioso. Altri, come Fidanza di An, utilizzano la parola inutile perchè demagogia. Gallera, portavoce del Pdl, attacca non solo l'istituzione, poi fallita, di una Commissione comunale antimafia voluta fra gli altri dallo stesso sindaco Moratti, ma anche il giudice Salvini, il quale ha criticato aspramente il fallimento della detta Commissione, definendo tale affondo un favore alla mafia. Gallera non ci sta e attacca, accusando direttamente la magistratura la quale tenta, con i suoi insuccessi, di favorire la mafia. Sebbene il passaggio logico di questa affermazione sia piuttosto carente, questo è lo specchio regionale della situazione nazionale, ossia una sottovalutazione completa del fenomeno mafia, relegata ad opera di repressione giudiziaria.
Ma oltre a questo c'è di più in tutta questa vicenda, che va oltre la semplice anedottica milanese. Il fatto, già conclamato, dell'incapacità delle istituzioni di voler veramente affrontare il fenomeno mafia, assumendosi la propria responsabilità politica di ristabilire un determinato equilibrio sociale, in modo da impedire che un certo grado di violenza privata si possa trasformare in violenza pubblica. Questo, ben inteso, oltre il facile populismo di certa antipolitica che cavalca l'onda senza arrivare da nessuna parte. Riuscendo ad andare oltre le parole di Fini. Perchè ci viene spiegato che la mafia non è una dittatura. Si infiltra nelle istituzioni ed è da li che agisce.

Il silenzio non sempre è oro


Non può non scoppiare un casino verrebbe da pensare a leggere certe notizie. Si leggono una volta per far scomparire dal viso un sorriso amaro di incredulità attesa. Poi si da una seconda scorsa per analizzare meglio nomi e fatti. Con la terza volta si iniziano a collegare informazioni, vicende, stralci di riflessioni trovate altrove. Si discostano gli occhi e, dopo un breve momento di concentrazione, si perviene ad una opinione in materia. Se poi i fatti sono gravi, o molto gravi, allora si ricercano altre informazioni per meglio documentarsi.
Ma cosa succede se, nonostante tutto, le informazioni pubbliche, quelle di più facile accesso al lettore medio, scarseggiano? O mancano?
Ora, sono notizie di oggi due accadimenti con precedenti molto pericolosi verificatisi a Milano. La prima nuova è l'ordinanza di ventidue misure di custodie cautelari nei confronti di due famiglie della 'ndrangheta note nell'ambiente milanese, Nicoscia e Arena, e il sequestro di dieci milioni di euro. La seconda è il prolungamento dell'indagine nei confronti del sindaco Moratti per abuso di ufficio. Parallelamente, due casi nello stesso giorno e non tutto questo clamore.
Certo, non ci si fa una bella figura, specie se è dagli anni 80 circa che la 'ndrangheta utilizza Milano come punto di riciclaggio di denaro illecito. Detentrice della maggioranza di quote di mercato degli stupefacenti, infilata, come varie inchieste hanno dimostrato, in appalti di costruzione. Profumi anche nella gestione dell'Expo. Solo sospetti per ora.
Gli arresti hanno come protagonisti la terza generazione di 'ndranghetisti. Si abbassa notevolmente l'età, il genere non sembra più una caratteristica rilevante. Ragazze di venti anni, come Luana, figlia di Marcello Paparo, cui sono intestate società note per metodi mafiosi d'imprenditoria.
Una nuova generazione alle porte. Con più spirito imprenditoriale e commerciale, avviata lungo un cammino di successi che apparentemente possono risultare normali, se solo il denaro non avesse una storia dietro.
Ma è anche vero che Milano è la capitale del Nord, trascinatrice dell'economia nazionale, nulla a che vedere con quelle storielle di mafia che ci propinano sempre e che riguardano quegli ignoranti con lupara in mano. Milano è una città d'oro, il cui silenzio è anch'esso d'oro. Meglio tacere. E la Madaffari è stata scelta grazie alle sue doti intellettuali, mica per altro. Il Sud è lontano lontano, non riguarda la Padania, la terra del verde.
Per questo la maggior parte dei giornali on line, a quest'ora, tace. Che non si parli di omertà, per carità. E' un silenzio celebrativo della grande forza del Nord. E' meglio poi risparmiare il fiato per i romeni. Non sono forse dei criminali?

Alla luce del sole di Rogliano: l'amore umiliato dal moralismo della Grande Provincia Italia

Innamorarsi di un uomo separato dalla moglie? Un fatto normale nell'Italia del 2009, verrebbe da pensare. E invece questo fatto può trasformarsi in un dramma, se non si rispetta la morale di facciata per la quale tutto si può fare, basta farlo di nascosto.

E così Oreste, l'uomo separato, ed Eugenia, la sua nuova compagnia, oggi sono il centro di dicerie e perfidie di tutto il loro paese, Rogliano, in provincia di Cosenza. Lui lo dipingono come un donnaiolo senza freni, mentre lei è diventata "la meretrice del paese", "una senza cuore, la quale, per un capriccio, ha rovinato una famiglia".

"La regola del badare ai propri fatti non rientra nel codice deontologico dei roglianesi. Si parla per il gusto di infangare le persone, per il gusto di godere dei disagi e problemi altrui, noncuranti dei problemi che, piccoli o grandi, ognuno di noi ha, individualmente e nei propri nuclei familiari" denuncia Eugenia, la quale ha deciso di dire basta con un'iniziativa clamorosa: una lettera aperta pubblicata dal Quotidiano della Calabria.

I roglianesi "si arrogano diritti di opinione di cui non hanno alcuna legittimazione e forniscono pareri non richiesti" e sono arrivati persino ad importunare la madre di Eugenia in pubblica piazza.

Chissà se tutto questo clamore si è avuto anche quando importanti inchieste sulla ndrangheta hanno toccato persone ed aziende di Rogliano. E non mi si dica che son due cose che non c'entrano nulla l'una con l'altra...


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Il grande colibrì