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Indovina chi governerà: il gioco dell'estate in attesa della resurrezione di Berlusconi

Giulio Tremonti o Luca Cordero di Montezemolo? Governo di unità nazionale o di transizione? Con Gianfranco Fini & Co. o senza patti con il diavolo? Per una legge elettorale che replichi il maggioritario delle isole Sandwich o il proporzionale della Nuova Caledonia?

Fa piacere vedere che 729 signori, più o meno, abbiano riesumato un nuovo e vecchio gioco per svagarsi quest'estate. E' il gioco del terzo polo, del governo del resiste, delle convergenze divergenti, delle elezioni anticipate, del totopremier e del totoprimarie. E' un gioco che i 729 signori, archiviati momentaneamente i mazzi di Magic, giocano seduti intorno ad un tavolo o, quando hanno voglia di sgranchirsi un po' le gambe, andandosi a leggere le previsioni dei futurologi sui giornali o andando a fare dichiarazioni a quegli stessi giornali, rilasciando meravigliose interviste-pizzino.

Vignetta: Sette Veli sulla Verità


Parlano i fatti di allora, che sono quelli richiamati da Grasso. Il procuratore antimafia dice la verità, e io condivido pienamente le sue parole. [...] Deve restare memoria di tutto questo, ma insieme alla memoria deve venire fuori anche la verità. Perchè senza verità non c'è democrazia.
Carlo Azeglio Ciampi [Unità]

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E tu, sei fuori dal sistema? Ricostruire la verità sulla storia d'Italia, ricostruire le nostre vite

Ci siamo abituati così tanto a chiamarlo "sistema berlusconiano" che oggi rischiamo di fare grande fatica a seguire l'evolversi degli eventi. Possiamo pure continuare a chiamarlo così, ma solo se ci rendiamo conto che l'espressione ha un valore puramente convenzionale e che c'è bisogno di un profondo sforzo mentale per superare alcune certezze, alcuni punti fermi che, invece, dobbiamo spostare parecchio in una prospettiva tutta da inquadrare da capo. La nostra più grande nemica, oltre a chi cerca di gettare la sabbia dell'oblio nei nostri occhi, rischia di essere l'oziosa pigrizia della nostra mente.

Chiamiamolo pure "berlusconismo" o "sistema berlusconiano", ma domandiamoci davvero se questo sistema vede in Berlusconi il proprio artefice o solo il proprio prodotto più visibile e pacchiano. Le più recenti indagini - che svelano reti di interessi di proporzioni angoscianti e dalle diramazioni impressionanti, che lacerano con il dubbio la storia degli ultimi decenni della vita politica e economica dell'Italia in tutti i suoi livelli - rendono la domanda tutt'altro che retorica.

Vignette: 23 maggio 1992-2010, i 18 anni della strage di Capaci



La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società.
Giovanni Falcone, Cose di Cosa Nostra

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Vignetta: Legittima Omertà


Gianfranco Fini incontra a Montecitorio lo scrittore Roberto Saviano per "sgomberare il campo dagli equivoci", testimoniare "la vicinanza delle istituzioni" nei confronti di chi quotidianamente si batte contro la criminalità organizzata ed esprimere "grande stima e considerazione" all'autore di Gomorra. [...] Il 16 aprile, durante una conferenza stampa a palazzo Chigi, Silvio Berlusconi inserì proprio Saviano nella “black list” di quegli autori “enti di promozione della mafia italiana nel mondo” che fanno dell'organizzazione criminale italiana, la prima per notorietà pur essendo la sesta nelle classifiche degli osservatori". [Unità]

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Almeno non toglieteci la mafia: se i cattivi sono quelli che si ribellano a schiavitù e criminalità...

"A Rosarno c'è una situazione difficile come in altre realtà, perchè in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un'immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall'altra ha generato situazione di forte degrado" - Roberto Maroni, ministro dell'Interno, Lega Nord

"I fautori di quell'idea [la cittadinanza breve] dovrebbero chiedere scusa e darsi pubblicamente, usando il lessico di Fini dicitore, degli emeriti stronzi" - Giancarlo Lehner, deputato, Popolo della Libertà [Repubblica]

Dal grasso ai reni: quando il crimine trasforma il corpo umano in un supermarket

Evidentemente non uno scoop come le attività sessuali dei politici, la notizia che in Perù è stato arrestato un gruppo criminale che commercializzava grasso umano da rivendere ad aziende cosmetiche è passata in sordina. Il clan agiva secondo uno schema prestabilito, che passava dal rapimento delle persone fino all’antropofagia, secondo la tradizione del pishtaco del popolo quechua delle Ande. Per la leggenda, il pishtaco è un fattucchiere che, per far parlare gli idoli, cuoceva il grasso umano assieme a mais e oro per poi soffiarci dentro. Simbolo del male, rappresentazione del sangue reclamato dagli invasori esterni, l’evoluzione del mito ha poi trasformato la storia in realtà, con la nascita di gruppi di predoni che assaltano viandanti solitari sulle Ande per prelevarne poi, per l’appunto, il grasso da rivendere.

L’arresto di questo gruppo, in cui sono coinvolti anche due italiani ancora a piede libero, apre molti collegamenti con l’emergenza sempre più grande e invisibile del traffico degli esseri umani con scopo l’espropriazione di organi, tessuti e cellule. In questo caso, la vicenda peruviana si collega con la cornice dei crimini dei colletti bianchi, grazie alla compravendita di parti umane con aziende europee allo scopo di fabbricazione di cosmetici. Tuttavia, lo smercio mondiale di organi è fortemente intrecciato con il mondo della sanità. La forte domanda di trapianti, non sostenuta da un’altrettante offerta di donatori, ha spinto i gruppi criminali a mettere su un commercio che fa della disperazione della gente la sua forza.

Sfruttando le debolezze di chi è in lista di attesa le organizzazioni criminali hanno infatti tratto a loro vantaggio la proibizione per i donatori di vendere i propri organi. Infatti, a parte l’esempio di qualche Stato come Iran, Singapore o Giappone, è vietato trarre un vantaggio economico dalla compravendita di proprie parti anatomiche. Ad esempio, nel 1997 fu firmata la Convenzione del Consiglio d’Europa sui Diritti dell’uomo e sulla biomedicina in cui si vieta espressamente tale pratica, equiparata di fatto a una vera e propria tratta di esseri umani.

Saviano o Cosentino for president? Ma la politica è pronta a combattere le mafie e a volare alto?

Non so se Nicola Cosentino sia un mafioso. So che cinque collaboratori di giustizia lo accusano di essere legato a doppio filo con la camorra e con i mafiosi di Casal di Principe, sua città natale. So che lo accusano di essere uno dei protagonisti del riciclaggio abusivo dei rifiuti tossici in Campania. Non so se tutto questo sia vero, ma so che questo signore è sottosegretario all'Economia e alle Finanze, esponente di spicco del Pdl campano e probabile candidato alla guida della regione Campania nelle prossime elezioni. So che è stato salvato dalle dimissioni anche grazie al Pd [L'Espresso].

"A Milano comanda la ‘Ndrangheta" di Carlucci e Caruso: siamo diventati tutti mafiosi?

Parlare male di Milano non è un compito così difficile. Non occorre nemmeno sforzarsi di lavorare di fantasia o di spremersi a fondo le meningi pur di trovare una qualche forma di argomentazione. Qualche difficoltà la può creare l’evitare di cadere dentro ai soliti luoghi comuni della città: è triste, grigia e senza vita; la gente è scorbutica e c’è sempre la nebbia.

Al di là dell’esagerazione immancabile, è comunque storicamente noto come Milano sia principalmente una città degli affari e, per questa ragione, non è nata come una città per viverci al massimo del benessere. Così, si è trasformata gradualmente in una Manchester del terzo settore, una città costruita a misura d’uomo per l’impiegato medio, chiusa su se stessa ma arrogante nel voler essere una delle capitali del mondo, capace di mutarsi in una città istituzionalmente razzista che istituzionalmente parlerà di fame nel mondo nel 2015.

Sebbene l’Europa sia praticamente a un passo, Milano resta provinciale davanti ai cambiamenti delle maggiori città europee, perché di certo non bastano un paio di locali e qualche evento artistico per poter competere con le altre a livello squisitamente sociale e culturale.

All'ombra di Barbara e del Vaticano: il moralismo cela i tentacoli di Silvio la piovra?

"Non credo che un uomo politico possa permettersi la distinzione tra vita pubblica e vita privata" racconta a sorpresa Barbara Berlusconi a Vanity Fair. E aggiunge: "Penso che una società esprima un senso della morale comune. I rappresentanti politici che sono chiamati a ben governare, a far prosperare la comunità, sono anche tenuti a salvaguardare i valori che essa esprime, possibilmente a elevarli" [Repubblica].

Applausi da sinistra: finalmente contro Silvio si ribellano anche i figli. Bella soddisfazione. Pure il Vaticano ha iniziato a storcere il naso. Altra soddisfazione.

Soddisfazione?!

Barbara Berlusconi chiede che non ci sia distinzione tra pubblico e privato nella vita di un uomo politico in nome di un "senso della morale comune" i cui valori dovrebbero essere salvaguardati dalla politica. Siamo soddisfatti perché una ragazza ripropone il modello dello stato etico, in cui valutazioni morali precostituite e indiscutibili (tanto indiscutibili da non citarne neppure il contenuto, giudicato evidentemente ovvio) si impongono sulle libere valutazioni individuali e sulle norme di legge?

E possiamo davvero essere soddisfatti del comportamento della Chiesa cattolica? Un articolo del giornale americano "The Nation" sintetizza molto bene questo comportamento:

"In Campania si è coperto il vero disastro". Viaggio con Nunzia Lombardi nel mondo delle ecomafie campane (2° parte)


Dove eravamo rimasti:
Introduzione alle ecomafie

2° parte

Nunzia Lombardi, Presidente del Comitato per la tutela del diritto alla salute, si occupa dal 2005 di diffondere il più possibile notizie, informazioni e cifre che riguardano l'azione della camorra nella sua terra. Assieme ad un gruppo di cittadini, ha iniziato a tessere le fila di un'attività che dagli anni 70 cerca il guadagno illegale attraverso lo sversamento di rifiuti tossici nelle campagne campane.

Questo è il seguito dell'intervista:

Quali sono le condizioni dei terreni della tua zona?

"In Campania si è coperto il vero disastro". Viaggio con Nunzia Lombardi nel mondo delle ecomafie campane (1° parte)

Quello dei rifiuti non è un problema da poco. Si calcola che in media ogni abitante consumi circa 500/600 kg di rifiuti netti all’anno. Ciò è l’altra faccia del voler tutto e subito: per ogni cosa che si ottiene subito c’è il contraltare dell’immondizia. Si butta via il vecchio per il nuovo che diventa subito vecchio e va buttato. Questo alimenta un circolo vizioso che difficilmente riesce ad essere smaltito completamente. A questo si aggiunge anche la questione dei grossi quantitativi dei rifiuti industriali: liquami e altri veleni altamente tossici, pezzi di macchinari putrefatti ormai cadaveri dopo aver compiuto il loro scopo della vita. Sottovalutare questo problema sarebbe da pazzi. In qualche luogo devono finire, e pochi si domandano quale è la loro destinazione finale. Di certo, di questo gruppo non fanno parte le holding criminali. Sfruttando un business redditizio, dagli anni 70 circa i cartelli criminali hanno preso per il collo quello che era un problema altamente dispendioso per le aziende e lo hanno trasformato in una delle attività più feconde. Secondo molti analisti, ancora più lucroso rispetto al mercato della droga.

Questo problema è senza dubbio mondiale. Il traffico illecito dei rifiuti è diventato infatti uno dei principali servizi offerti dalla criminalità organizzata. Grazie all’azione delle Triadi, la Cina, ad esempio, sta diventando la pattumiera mondiale per quanto riguarda i materiali elettrici e tecnologici. Lì finiscono la loro vita telefonini fuori moda, computer troppo lenti e altre apparecchiature di cui c’è subito una contropartita ancora più moderna ed aggiornata. Il tutto avviene ovviamente nell’ombra. Ciò favorisce un sottobosco illegale che fa del disastro ambientale il business per eccellenza.

Peppino Impastato, "giullare" a fumetti, raccontato da Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso

Vi abbiamo già presentato in anteprima il bellissimo fumetto "Peppino Impastato - Un giullare contro la mafia". Oggi vogliamo tornare a parlarne con i due autori, lo sceneggiatore Marco Rizzo e il disegnatore Lelio Bonaccorso.

* * *

Marco Rizzo, trapanese, oltre che giornalista professionista, traduce fumetti e scrive sceneggiature; in particolare, è noto per aver scritto il fumetto "Ilaria Alpi, il prezzo della verità".

Peppino Impastato, con il giornale "L'Idea Socialista" e Radio Aut, cosa ha fatto di nuovo rispetto ai mass media del tempo?

Peppino ha semplicemente sfruttato quei mezzi che già altri utilizzavano, come, ad esempio, le radio libere, applicando metodi innovativi soprattutto rispetto al contesto. Pensiamo a Radio Aut: a nessuno era mai venuto in mente di fare della satira sulla mafia! O di usare la carta stampata di prodotti come "L'Idea" non solo per proporre riflessioni e appunti, come già accadeva, ma anche per lanciare quel messaggio diretto e senza esclusioni di colpi: "La mafia è una montagna di merda".


Da questo punto di vista, il sottotitolo del vostro libro ("Un giullare contro a mafia"), nella sua semplicità, offre una definizione di Peppino capace di mettere in luce uno dei tratti più significativi della sua battaglia: l'uso costante della fantasia, del sarcasmo, dell'irriverenza.

Ci tengo a precisarlo: "Un giullare contro la mafia" non vuole affatto sminuire la figura di Peppino. Era un "giullare" giocoso e irriverente, sia con gli amici sia in alcune espressioni della sua lotta, in particolare in quelle più note attraverso la radio. Ma Peppino era anche un poeta malinconico ed efficace, un comunista vicino alla base, un rivoluzionario convinto, un uomo del popolo e - altro aspetto importantissimo - un outsider per la sua stessa famiglia, quindi doppiamente rivoluzionario.

Un giullare contro la mafia: con Bonaccorso e Rizzo, Peppino Impastato diventa un fumetto

"Assassino!". Si apre con un urlo e si chiude con tre tavole di silenzio - silenzio coraggioso, orgoglioso, per nulla omertoso - "Peppino Impastato - Un giullare contro la mafia" (edito da Beccogiallo, sceneggiatura del trapanese Marco Rizzo e disegni del messinese Lelio Bonaccorso, in uscita domani in tutte le librerie, ma che abbiamo letto per voi in anteprima), biografia a fumetti del giovane militante antimafia reso famoso dal film "I cento passi" di Marco Tullio Giordana e dalle canzoni di numerosi artisti, come Pippo Pollina, i Modena City Ramblers e tanti altri.

La storia dell'antimafia è piena di nomi caduti nell'oblio e potrebbe sembrare ridondante dedicare l'ennesima opera al personaggio più conosciuto. Perché raccontare ancora la stessa storia, perché ripercorrere ancora gli stessi passi? Non è inutile?

A lezione di criminalità con Loretta Napoleoni

La “Fine della storia” è un concetto che piace. Affermare che la storia sia arrivata al capolinea vuol dire lavarsi le mani dalle proprie responsabilità, infischiarsene del presente e continuare a sbagliare nella consapevolezza che siamo arrivati al massimo sviluppo possibile.
Non c’è scampo però: la storia non è solo una successione di fatti. E’ molto di più. Nel mondo contemporaneo diventa sempre più complicato riuscire a tracciare e tessere le fila degli avvenimenti, capire le conseguenze di ogni azione e trovare un senso di responsabilità. Le notizie di piccoli accadimenti si susseguono a ritmo forsennato, la memoria è piccola e quindi dimentica. Facendo un esempio, diventa difficile riuscire a vedere il nesso tra il crollo del muro di Berlino con l’esplosione della criminalità ittica la quale, coinvolgendo anche aziende importanti come la Findus, porta sulle tavole, nostrane o internazionali, la maggioranza del pesce che i consumatori mangiano abitualmente.
Per questo motivo, è sempre utile fare ordine fra le migliaia di notizie quotidiane per poter continuare a scrivere la storia. Si esce dall’ambito del semplice giornalismo.
Loretta Napoleoni, economista e giornalista presso varie testate internazionali, tenta questa impresa partendo dal suo specifico campo di studi: le forme degenerate dell'economia. Criminalità e manager amorali, finanziamenti diretti o indiretti al terrorismo, crisi economiche strutturali dai contorni sempre meno definibili in cause dirette e univoche.
Nel suo ultimo libro, "La Morsa", Napoleoni descrive l’intreccio sempre più correlato tra gli attacchi dell’11 settembre 2001 e la crisi finanziaria odierna, generata da una forte politica deflazionistica che ha aiutato l’esplosione dei mutui sub-prime. Ma, oltre a questo, anche il connubio tra l’emendamento del Patriot Act che, se da un lato ha reso l’Europa la ricicleria mondiale dei capitali criminali, dall’altro ha anche aiutato lo sviluppo sempre maggiore della nuova e sperimentale finanza islamica. In più, ha contribuito ad alimentare il mito della paura, il terrorismo e gli scontri di civiltà, mentre il mondo, la politica e l’economia affossano nei deliri di onnipotenza. Il timore diventa il sovrano padrone. Non solo per lo straniero e l’Islam, ma anche per la crisi economica. Come uscirne? La risposta sarebbe rimettere tutto in piedi, partendo dallo Stato. Quindi, rimettendo in primo piano l’aspetto della legalità. Analizzare il crimine diventa fondamentale per capire come fare. Il crimine organizzato è, a questo proposito, talmente addentrato nelle pieghe della cosiddetta realtà normale che diventa un compito primario riuscire a stanarlo.
Per questo motivo, l’autrice ci ha concesso una breve intervista su questi temi. Lasciamo quindi a lei la parola.

Nonostante i dati e le inchieste lasciano intravedere un fenomeno estremamente allargato, ancora oggi si tende a parlare di mafia e crimine organizzato come un fenomeno prettamente locale e territoriale. Lei riuscirebbe a dare una fotografia concisa delle infiltrazioni della criminalità nell'economia globale?

E’ proprio questo il problema, considerare il crimine organizzato come un fenomeno locale quando invece è diventato parte integrante della globalizzazione. Pensare poi che appartenga solo all’Italia è uno sbaglio che l’Europa potrebbe pagare caro. Mancano in Europa le leggi ad hoc per combattere il crimine organizzato che invece noi in Italia abbiamo da decenni.
Il crimine organizzato ormai si è infiltrato dovunque, non esiste settore economico o finanziario che non sia stato contaminato. E questa contaminazione è stata facilitata proprio dalla globalizzazione

In precedenti interventi, Lei ha criticato la continua emissione di cartamoneta da parte degli Stati per sostenere le Banche durante la crisi. Critica che mira a posizionare l'obiettivo su una possibile inflazione futura a causa della grossa quantità di liquidità monetaria. Secondo Lei, i gruppi mafiosi potrebbero approfittare di questa falla per i loro investimenti illeciti? Se si, quali potrebbero essere i rischi per l'economia legale?

Il crimine organizzato in questa situazione di crisi ci sguazza, basta ricordare la crescita esponenziale della criminalità organizzata negli Stati Uniti durante gli anni ’30. E’ vero che il proibizionismo era il velano principale ma quando la crisi è scoppiata i soldi dei boss mafiosi hanno iniziato a circolare nell’economia nazionale. Il grande salto è avvenuto durante la crisi, non prima. Noi rischiamo di trovarci in una situazione analoga: già al sud d’Italia lo strozzinaggio del crimine organizzato ha rimpiazzato le banche che si trovano in crisi di liquidità. Quando poi partirà l’inflazione allora inizierà la corsa ad accaparrarsi beni rifugio, dal settore immobiliare all’oro. E qui l’investitore tradizionale entrerà in concorrenza con il crimine organizzato perché l’economia diventerà sempre più orientata verso l’uso del contante.

Ecomafia è un termine relativamente nuovo e poco noto a livello pubblico. In Italia, la recente esplosione dell'emergenza rifiuti a Napoli ha portato alla luce un traffico di criminalità che ha fatto della spazzatura un tesoro. Tuttavia, anche se meno "pubblicizzati" a livello mass mediatico, i crimini ambientali sono diversificati e presenti in ogni angolo del pianeta. Attività come la pesca abusiva o gli incendi dolosi, giusto per citarne alcune, fatturano per la criminalità quasi quanto il commercio degli stupefacenti, con la conseguenza però che i danni provocati dalle stesse diventano globali e irreversibili. Riuscirebbe a descrivere quanto i crimini ambientali impattano sul nostro pianeta, da un punto di vista sociale ma anche sotto un profilo economico?

Il crimine ha sempre distrutto l'ambiente perché non gli interessa l'estetica, la bellezza, la natura ecc. Il mondo della criminalità è per la maggioranza rozzo ed ignorante, il crimine non paga e questo le persone intelligenti lo sanno bene.
Oggi però l'impatto della criminalità sulla distruzione dell'ambiente è in netto aumento e le conseguenze sono disastrose.
Dal punto di vista economico ciò vuol dire che costerà sempre di più 'ripulire' il pianeta dallo scempio ecologico del crimine, basta pensare al Baltico ormai trasformato in una pozzanghera dai pirati del pesce.
E poi ci sono i pirati della spazzatura che trasportano nei paesi poveri e nelle acque territoriali di questi stessi scorie elettroniche e prodotti contaminati.

Nel libro "Economia Canaglia", Lei intraprende un viaggio attorno al mondo indagando i vari aspetti corrotti dell'economia odierna, passando da pratiche legali e amorali come gli hedge funds, a veri e propri traffici illeciti e/o violenti, come la 'ndrangheta o i vari gruppi criminali dell'Asia Orientale impegnati in diverse attività. A fronte della Sua indagine, sarebbe utile ridisegnare dal principio una teoria della mafia e del crimine organizzato, integrando e facendo leva su tutti gli elementi contemporanei del nuovo sistema economico e politico?

Sicuramente il crimine organizzato è cambiato grazie all’avvento dell’economia canaglia, è diventato più maturo e più scaltro. Sì, penso proprio che bisognerebbe ridefinire la natura di questo fenomeno in relazione ai cambiamenti in corso nel nostro mondo. Ma questo richiede molto coraggio perché pensare che la realtà della Camorra sia circoscritta a Napoli ed ai traffici della città è per tutti noi meno traumatico che accettare il fatto che quando andiamo in pizzeria a Berlino, a Milano come a Madrid senza saperlo facciamo parte della rete del crimine organizzato. Napoli è quindi solo la punta dell’Iceberg, sotto c’è il pianeta intero. Ecco, questa verità nessuno la vuole accettare.

Il crollo del muro di Berlino ha dato una fortissima accellerazione alla criminalità organizzata, grazie allo sviluppo di numerose attività illecite. Per contro, gli attentati dell'11 settembre hanno dato una spinta alla finanza islamica. In questi due casi si nota come la concezione del sistema economico occidentale sia entrato in crisi. Potrebbe spiegare come una disciplina così complessa come l'economia dovrebbe rifondarsi sulla base di questi nuovi scenari?

Lo sviluppo della finanza islamica non è negativo ma positivo, mostra come un sistema alternativo al nostro che poggia sull'etica e la cooperazione funzioni bene ed abbia evitato grazie a questi principi la crisi in cui ci troviamo. La crescita della criminalità invece è un fenomeno negativo legato alla deregulation, l'abbattimento dei controlli finanziari ha dato grande impeto all'economia illegale.
Tutti e due i fenomeni ci dicono che il sistema così come è strutturato non funziona, ha bisogno di essere rinnovato.

http://www.lorettanapoleoni.org/

Se la famiglia ti condanna a morte: suicida a 13 anni a Villaricca, il padre è legato alla camorra

Si è suicidato a 13 anni. Le circostanze non sono chiare, Corriere e Repubblica offrono ricostruzioni molto diverse.

Solo due cose sono chiare: si è suicidato a 13 anni e ce l'aveva col padre, legato a un clan camorristico, forse per la morte del fratello, 15 anni, ucciso a pistolettate mentre tentava una rapina.

Non sappiamo cosa girava per la testa di Vittorio Maglione, in quella casa di Villaricca, periferia di Napoli. E solo in un eccesso di enfasi potremmo concludere subito che Vittorio sia da incoronare eroe dell'antimafia perché avrebbe compiuto il più estremo dei gesti di ribellione contro la camorra. E invece non sappiamo nulla sul senso reale di questo gesto.

Sappiamo solo che Vittorio è una nuova vittima della camorra e del pensiero mafioso. Sappiamo solo che questa è una morte di mafia e che, come in tutti le morti di mafia, pesanti responsabilità risiedono nelle famiglie.

Al di là di tutte le retoriche mafiose sull'onore e sulla famiglia, il mafioso è una persona che sta condannando a morte prima di tutto i propri familiari. Li sta vendendo in cambio di denaro e di potere.

Il familiare del mafioso che non denuncia direttamente il proprio familiare compie una scelta che, al di là di ogni retorica, non è giustificabile in nessuna famiglia: sta scegliendo di vedere il proprio familiare morto piuttosto che in prigione. La denuncia del familiare mafioso non ha nulla a che fare con il tradimento, ma, al contrario, è l'unica scelta - per quanto dolorosa - di reale amore familiare.

Ma non esiste famiglia, non esiste onore, non esiste amore, affetto, rispetto nella cultura mafiosa. Esiste solo una morte che, come il denaro, non ha odore.

E così la morte di Vittorio sarà una morte di nessun valore, come migliaia di altre morti. Passeranno sul suo cadavere e lo divoreranno, si ciberanno della sua carne e sputeranno le sue ossa. Finché arriverà il giorno - se mai arriverà - in cui le famiglie dei mafiosi si ribelleranno, decidendo di essere luoghi in cui proteggere i propri cari invece che condannarli a morte.


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